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 2020  luglio 21 Martedì calendario

Quando Salazar fu spodestato a sua insaputa

A partire dal 5 febbraio 1969 il direttore del quotidiano portoghese Diário de Notícias, Augusto de Castro Sampaio Corte-Real, cominciò a fermarsi al giornale ben oltre l’orario di chiusura. Quando la redazione si svuotava, rimaneva con il responsabile della tipografia. Tutte le copie del foglio erano in partenza per le edicole e un solo esemplare veniva rimaneggiato da de Castro e dal suo assistente. Preparavano ogni giorno un numero speciale che veniva consegnato a palazzo São Bento e posto sul tavolo della colazione del presidente del Consiglio, il 79enne António de Oliveira Salazar, appena uscito da un coma profondo.
Cosa conteneva quel prodotto giornalistico unico? Sparato come titolo di prima c’era la notizia dell’incontro del giorno precedente dell’autocrate con uno dei suoi ministri oppure con funzionari delle colonie o con diplomatici. Nelle pagine successive de Castro posizionava una bella biografia a puntate del tiranno e copriva con la pubblicità tutti gli articoli che citavano Marcelo Caetano quale Presidente del Consiglio. Già, proprio così: perché, a partire dal 30 settembre 1968 , quando dopo un’emorragia cerebrale si riteneva che Salazar sarebbe morto, Caetano era stato nominato premier. Il leader che governava dal 1932 non era però deceduto, ma al contrario, dopo alcuni mesi, a febbraio del ’68, appunto, rientrò nel palazzo del governo e nessuno lo mise al corrente che era stato spodestato: malconcio e imbottito di medicine, terrorizzava i fedelissimi che non si presero la responsabilità di dirgli la verità. Il 27 luglio ricorrono i 50 anni dalla scomparsa di Salazar: adesso, a ricostruire il pazzesco Grand Guignol organizzato per accontentare il despota, è il libro di Marco Ferrari, L’incredibile storia di António Salazar, il dittatore che morì due volte (Laterza editore). 
Creatore dell’Estado Nuovo, Salazar gestì per oltre 35 anni il più antico, il più longevo e uno dei più vasti imperi coloniali della storia. Di lui lo scrittore Fernando Pessoa, ricordandone le radici contadine e l’educazione in seminario, disse: «È il prodotto di una fusione di estraneità: l’anima campestramente sordida dei contadini di Santa Comba Dão ampliata dal seminario… dalla rigida e pesante specializzazione del suo destino… di professore di finanza».
Il modello di Salazar era Benito Mussolini: strutturò l’economia lusitana secondo i dettami del corporativismo fascista e impose l’obbedienza alla trinità, «Deus, Pátria e familia»; fece assassinare i suoi avversari politici, come il generale Humberto Delgado, e tenne in carcere per anni il dirigente socialista Màrio Soares e molti altri. Durante la Seconda guerra mondiale assicurò la neutralità al suo Paese e riuscì a barcamenarsi tra i nazisti (che ammirava) e gli Alleati, a cui concesse basi militari nelle Azzorre. Aveva una vita estremamente regolare, pochi viaggi, alcuni brevi flirt (non si sa se realmente consumati) e qualche liaison più lunga. La disgrazia che lo colpì in questo tran tran sembrò veramente un inaspettato coup de théâtre: da giovane Salazar si era rotto il piede destro, indossava solo stivali di pelle morbida e aveva necessità di frequente del podologo. Nell’agosto 1968, mentre si accomodava sulla sedia dell’infermiere callista, fece un capitombolo. E seguirono mesi di ricoveri in ospedale. Quando si riprese era in uno in uno stato semivegetativo: il primo a fargli visita, l’8 febbraio 1969, fu il cardinale patriarca Manuel Gonçalves Cerejeira, il governatore del Mozambico, e poi i vertici della Pide (la polizia speciale instituita da Salazar che spediva in gattabuia gli oppositori, violava la corrispondenza, praticava le intercettazioni telefoniche e la tortura degli arrestati). Tutti lo omaggiavano come fosse il capo del governo. I suoi più stretti collaboratori continuarono a mostrargli la corrispondenza, a spedire dispacci e telegrammi nei luoghi più remoti delle colonie, a organizzare Consigli dei ministri, a dargli il quotidiano in copia unica e a farlo comparire in rapide presentazioni televisive. Ma nell’estate del 1969 il segreto fu svelato: il giornale francese L’Aurore inviò a Lisbona il caporedattore Roland Faure che aveva subodorato qualcosa. Intervistando il dittatore, scoprì l’inganno. «Salazar crede di governare ancora il Portogallo», questo fu lo strillo dell’Aurore, che si diffuse in tutto il mondo. A Salazar, che morì nel 1970, non fu mai mostrata la testata parigina e sulle pubblicazioni portoghesi intervenne la censura di regime. Quattro anni dopo scoppiò la «Revolução dos Cravos», detta così dal gesto della fioraia che offrì ai militari ribelli i garofani, il simbolo della rivoluzione pacifica che portò alla democrazia. La messa in scena per Salazar era stata una farsa, ma non trasformò mai il ghigno del despota crudele in una risata.