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 2020  luglio 21 Martedì calendario

I governi diventano alleati degli speculatori

Gli ultimi mesi hanno impresso un’accelerazione improvvisa come le onde di questa nostra difficile estate. Qualcosa di imprevedibile, fondato però su tendenze e contraddizioni già in essere da tempo. 
Il virus si è rivelato un potente acceleratore di eventi e la tecnologia in pochi mesi ha scardinato abitudini radicate fino a divenire parte integrante delle nostre vite. 
Il lockdown ha contenuto la diffusione del contagio ma non ha sospeso il tempo. Anzi, ha spinto il calendario in avanti. 
I mercati finanziari sono l’unico soggetto che ha continuato a funzionare regolarmente. Dapprima, quando la pandemia era in fase embrionale, hanno avuto una flessione che va considerata al pari di uno scompenso emotivo. Quello che sembrava un tracollo si è poi trasformato in un cambio di tendenza, fino a tracciare sui grafici la forma della V. Proprio come le onde prendono intensità dopo essere rifluite. 
A trainare i mercati sono state le cinque società che formano l’acronimo Faang. Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google. Cinque titoli che hanno numeri superiori a quelli di intere nazioni. Cinque aziende che hanno estratto valore dall’economia reale, sottraendola alle attività che digitali non sono. Questo meccanismo non ha fatto che concentrare ulteriormente la ricchezza nelle mani di pochi e impoverire miliardi di persone. 
All’inizio dell’estate, mentre i contagi globali toccavano il picco, il Nasdaq è schizzato sopra i diecimila punti. Proprio quando la paura imperversava in tutto il mondo, la borsa delle piattaforme digitali segnava il suo massimo storico. Abbiamo così assistito alla realizzazione delle ambizioni che l’industria digitale nutriva sul lungo termine: miliardi di persone connesse, miliardi di dollari spesi nell’e-commerce, uno stravolgimento del lavoro e dell’intrattenimento. 
Il rapporto proporzionale tra l’aumento dei contagi e la quantità di denaro riversata nell’universo finanziario sembra rispettare un disegno preciso: scongiurare una crisi doppia, finanziaria e sanitaria. 
A ogni minaccia di discesa del mercato è corrisposto un annuncio di acquisti straordinari. Uno stimolo ininterrotto, un’inondazione di liquidità che ha nutrito le piattaforme digitali legate appunto ai capitali in eccesso. 
Siamo di fronte a una fase di capitalismo di Stato quasi senza precedenti. L’interventismo statale è diventato il miglior alleato di investitori e speculatori. Il filo di questi mesi si intreccia a quello del Great Financial Crash del 2008, soprattutto nelle azioni intraprese dalle banche centrali sostenute dalla politica. Anche stavolta si è accorsi a sostenere il salvataggio finanziario e le energie si sono moltiplicate per contenere la crisi. A festeggiare sono i giganti del digitale, gli oligopoli del Ventunesimo secolo. 
La politica non è riuscita a intervenire sul loro potere. Ha permesso la creazione di questi conglomerati colossali, iperdiversificati. Ha permesso che sfruttassero grandi vantaggi competitivi sul piano tecnologico e si accaparrassero enormi fette dell’economia tradizionale in cambio di servizi forniti sottocosto. 
È necessario rendersi conto che la potenza di questi giganti, oltre a essere un motore straordinario, è anche un deformatore pericoloso. Non si limitano a occupare lo spazio dell’economia tradizionale ma ne modificano interi settori, in modo che questi siano meno competitivi e più omogenei a un unico canone distributivo. Perché in tempo di lockdown è la distribuzione a cambiare con più forza, e chi riesce a gestire i costi di un sistema distributivo efficiente può disporre degli strumenti più preziosi. 
Al tempo stesso, la politica ha difeso i mercati finanziari quasi fossero l’ultimo baluardo prima della resa. Sui mercati si sono rovesciate risorse senza precedenti. Pareva che la salvezza dell’umanità passasse per la tenuta di Wall Street. Questo ha in parte una giustificazione sociale. L’economia, totalmente subordinata alla finanza, ha totalmente demandato a gestori di fondi il futuro del sistema pensionistico. La politica dei tassi a zero e della monetizzazione del debito ha dirottato miliardi di dollari sul mercato azionario, rendendolo così il garante unico del pagamento delle pensioni future. È per la dipendenza che consegue a questa cessione di poteri che la politica deve salvare la finanza: per fingere di salvare se stessa. Un collasso di Wall Street avrebbe un effetto devastante per il sistema pensionistico quasi a livello globale.
Una trappola per gli Stati, montata dagli Stati stessi. La finanza protegge i risparmi della classe media impoverita, i gruppi sociali ai margini dipendono dai sussidi che vengono erogati durante le emergenze e i grandi capitali crescono di valore. 
L’economia della crisi offre palliativi temporanei agli strati meno abbienti e incentivi a lungo termine a chi è privilegiato. —