Corriere della Sera, 21 luglio 2020
Pappano: «Il mio Beethoven per il ponte di Genova»
Chi avrà la fortuna di essere lì, di assistere a un concerto che si prefigura storico, dovrà deglutire lentamente la propria emozione, perché il 27 luglio ai piedi del nuovo Ponte di Genova – che Webuild (ex Salini Impregilo) e Fincantieri stanno completando a tempi di record su progetto di Renzo Piano – ci sarà l’Orchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia con il suo direttore Antonio Pappano per un concerto unico (a numero chiuso) con l’esecuzione della Quinta Sinfonia di Ludwig van Beethoven, che verrà preceduta da un omaggio delle società costruttrici e dei musicisti alle 43 vittime del Ponte Morandi, con l’Adagio per archi del compositore americano Samuel Barber. Sarà un concerto – che verrà anche registrato per diventare un disco – dall’anima doppia. Quella del ricordo di chi non c’è più e quella della celebrazione, della festa, per la ricostruzione di un ponte che in pochissimo tempo è diventato il simbolo del riscatto italiano, del lavoro di squadra, della resistenza umana alle avversità. Antonio Pappano è emozionato, lusingato e profondamente coinvolto per un concerto che va oltre la musica per diventare anch’esso un simbolo.
Maestro Pappano, cosa rappresenta per lei questo concerto?
«È la celebrazione da un lato di un lavoro di eccellenza in tempi record, un lavoro di squadra straordinario e dall’altro vuole ricordare la tragedia che c’è stata».
Sentimenti contrastanti, opposti.
«Già, la vittoria e la perdita. Sarà tutto molto intenso».
Come definirebbe il programma che ha scelto?
«Un viaggio dal buio alla luce. Che poi è la metafora della Quinta Sinfonia di Beethoven. Lui conquista i suoi demoni e alla fine ne esce vincitore. Anche dal punto di vista della tonalità, è un viaggio dal Do minore al Do maggiore».
L’«Adagio per archi» di Samuel Barber con la sua nostalgia elegiaca invece?
«Di per sé è un brano commovente. Immediatamente riconoscibile, perché è stato usato in diversi film. È una musica che abbiamo dentro. I due pezzi insieme hanno una grande forza e un grande impatto sull’ascoltatore».
Lei fra l’altro si trova in mezzo a un ciclo beethoveniano che sta eseguendo a Roma.
«Oggi nella Cavea del Parco della Musica di Roma alle 21 eseguiremo, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, l’Ottava Sinfonia e anche la Quinta, venerdì toccherà alla Nona e poi partiremo alla volta di Genova».
È finalmente tornato sul podio.
«Sto vivendo con l’orchestra un’esperienza incredibile. Chi poteva immaginarlo, anche solo fino a un mese fa, che si sarebbero potuti fare dei concerti. Già di per sé poter (ri)suonare insieme è bellissimo. Poi c’è anche il pubblico. Senza le persone in sala, c’è il vuoto: con la musica la condivisione è una cosa importantissima».
Come è andata con le regole anti-covid?
«La nostra è una sfida. Adattiamo l’orchestra a una situazione nuova. Ogni strumentista ad arco ha per esempio un suo leggio, non più come un tempo che se ne usava uno a coppia».
Come cambia il suono con il distanziamento?
«Il suono si allarga, ha più spazio per esprimersi. Legni e ottoni ad esempio sono distanti rispetto a prima. I fiati suonano tutti come se fossero dei solisti. Abbiamo provato tanto. E il risultato sonoro ci piace. Poi il Beethoven della Quinta è molto ritmico, richiede precisione assoluta. Come tutta la musica».
E per quanto riguarda invece lo spazio all’aperto?
«Lì il suono naviga in maniera ancora diversa. Respira e il senso di spazio intorno al suono è naturale. I dettagli vengono comunque tutti fuori. Siamo infatti anche leggermente amplificati».
Il pubblico non sarà un pubblico qualunque. Ci saranno anche tutti gli operai al concerto.
«Mi pare bellissimo che siano lì anche loro che hanno costruito il ponte. Sarà una bellissima condivisione fra artisti, architetti, lavoratori, e anche persone che hanno perso i loro cari. Sarà celebrazione, ma anche ricordo».
La musica in questo caso ha un valore extra-estetico, che va oltre la mera bellezza dell’ascolto. C’è un messaggio forte dietro…
«La musica – e in questo che le dico ci credo non al 100, ma al 150 per cento – è un balsamo per la guarigione e la speranza».
La musica fa bene. È necessaria. Lenisce le sofferenze e ci aiuta, almeno un poco, a essere persone migliori. Cosa rappresenta per lei la musica nel fondo dell’anima?
«La musica è la trasformazione dell’aria che respiriamo. Ogni volta che un musicista emette un suono instaura un rapporto con l’aria. La musica in questo senso è un’aria trasformata poeticamente».
Quale potrebbe essere secondo lei la colonna sonora per raccontare questi tempi bui?
«Sono così preso dal ciclo beethoveniano che le risponderei Beethoven. Perché lui è sempre stato in conflitto con sé stesso, con le sue idee che doveva risolvere. La sua perseveranza nel processo compositivo è una lezione di vita sul come vivere e come sopravvivere. È stato uno che non ha mai mollato e in questo senso anche noi cerchiamo di fare lo stesso».
Ce la farà la musica a superare questa emergenza e a tornare a riempire di suoni i teatri e le sale? Tornerà come prima o ci saranno nuovi modi di fruizione?
«Non lo so. Sarà doloroso. Dobbiamo trovare soluzioni per sopravvivere. Certo anche io, come tutti, ho la grande speranza che si torni alla normalità».
Cosa ha imparato la gente durante il lockdown?
«Tante cose. Credo abbia imparato il rispetto per il prossimo, per l’ambiente. La natura ci ha dato una grande lezione».
E lei cosa ha imparato?
«Ho avuto il tempo per tornare a suonare il pianoforte. Psicologicamente ho avuto alti e bassi. Poi ho pensato che per la prima volta ci siamo trovati tutti, senza nessuna distinzione, nella stessa situazione di pericolo. Tutti uguali, sullo stesso piano. Mi ha colpito molto questa cosa».