Corriere della Sera, 21 luglio 2020
Rosa, la prima poliziotta d’Italia
Se chiedi a Rosa Scafa perché negli anni Cinquanta ha scelto di diventare la prima donna poliziotto italiana, lei risponde così: «Ma perché avevo bisogno di lavorare. Ero la maggiore di otto fratelli, la guerra ci aveva portato via tutto, il lavoro non c’era. Manco come operaia mi volevano. E avevo pure il diploma di maestra. In polizia ci sono entrata per necessità, ma poi mi sono innamorata di quel lavoro». E oggi, che ha appena compiuto 95 anni, Rosa ricomincerebbe da capo. Si riprenderebbe la sua giovinezza, la fame che bruciava lo stomaco, negli occhi un’Italia acciaccata che cercava di rimettersi in piedi.
La guerra aveva diviso la sua famiglia: il papà lavorava a Trieste, la madre e la nonna erano rimaste a Vibo Valentia. «Quando riuscimmo a raggiungere Trieste trovammo un disastro: papà senza lavoro, la casa che non c’era più». Si viveva insieme ai profughi istriani, si cercava qualcosa da fare. Rosa divenne vigilatrice estiva delle colonie della Croce Rossa. Ma nel 1951 c’erano i corsi per entrare nella polizia femminile del governo militare alleato. «Presentai la domanda appena in tempo, mi assegnarono alla Buoncostume per assistere i minori». Mamma e papà che dissero? «Ma che volevano dire, si doveva mangiare e quando si deve mangiare non c’è spazio per tante parole».
Fu così che Rosa cominciò a conoscere il mondo, un mondo che alla maggior parte delle giovinette dell’epoca era tenuto ben nascosto. «Un giorno mi portarono un bambino che avrà avuto due anni. Durante la notte il padre aveva ammazzato la madre. Lui era destinato ad un istituto d’accoglienza. C’è voluta tutta la mia forza per separarmi da quella creatura, quella notte». Scafa impara una verità semplice che tutti sapevano ma che nessuno allora osava dire a voce alta: è dentro casa che si consumano le violenze più atroci. E per tutta la vita avrà sempre un’attenzione particolare per le donne fragili.
Poi, nel 1960, un bivio: «Potevamo scegliere di essere assunte come impiegate civili oppure entrare nella polizia italiana». Lei non ebbe dubbi: «Per carità, non mi ci vedevo dietro a una scrivania. Volevo fare la poliziotta. I colleghi mi hanno sempre trattata come una di loro, mai una volta che il mio essere donna sia stato un problema». Divenne così la prima donna della polizia tricolore. Sì ma l’idea di un marito e dei figli? All’epoca questo era un po’ il destino comune di tutte, o no? «Non se ne parlava – racconta —. Io avevo giurato a me stessa che prima avrei dovuto vedere tutti i miei fratelli sistemati. Per anni e anni ho mandato a casa metà dello stipendio».
I corteggiatori c’erano eccome, però lei conduceva una vita solitaria e in quell’agosto del 1964 se ne andò in crociera nel Mediterraneo (un viaggio regalo della sorella Adriana). Ma quando tornò, abbronzata e asciugata dal sole, ebbe l’idea di andare a fare una passeggiata con un collega. «Da lontano vedemmo la macchina del capo squadra della Mobile. Lui era il poliziotto più bello di tutti, biondo e con gli occhi azzurri. Quando mi vide, inchiodò. Da allora non ci siamo più separati». Filippo Furlan, l’uomo che Rosa ha sposato a 39 anni, è mancato tempo fa, ma «siamo stati marito e moglie per trent’anni, cinque mesi e sette giorni», snocciola Scafa, che ancora oggi ne parla come la più folle delle innamorate. Niente figli, hanno trovato nella comprensione reciproca il più forte dei collanti. Oltre, naturalmente, alla divisa.
Quella divisa che, racconta, «mi ha sempre tolto ogni paura». Come quella volta che stavano trasferendo con un furgone una donna soggetta a scatti violenti: la detenuta cominciò ad agitarsi e il conducente del mezzo andò a sbattere contro il guard rail. Salvi per miracolo.
Scafa è stata a lungo a contatto con le prostitute, ma le ha sempre chiamate «signorina» e guai a chi si azzardava ad apostrofarle in altro modo in sua presenza. «Sono donne che hanno perso la strada, se sono arrivate fin lì è un po’ colpa di tutti». I 95 anni sono arrivati in un soffio. Un avvocato ligure sta preparando la sua biografia, ci dovrebbe essere anche una nota del Quirinale. La torta che le ha preparato la sorella Giuliana, di 22 anni più giovane («Come farei senza di lei?») ha la glassa tricolore. Che cosa le manca oggi? «Vorrei accanto il mio Pippo. Cos’altro?».