Affari&Finanza, 20 luglio 2020
Miliardari solidali, la tassa non decolla
Togliete ai ricchi per dare ai poveri. Firmato: i ricchi. Tra i grandi Paperoni mondiali ha iniziato a diffondersi da qualche anno (in dosi per ora omeopatiche) la sindrome di Robin Hood. Il numero di persone che dispongono di fortune quasi illimitate, del resto, continua a crescere: secondo Oxfam 500mila persone nel mondo (31mila in più del 2019) hanno oggi sul conto in banca più di 30 milioni di dollari. E di fronte alla tragedia del Covid e al lavoro in prima linea di migliaia di medici e infermieri sottopagati o precari, 83 di questi super-plutocrati – una goccia nell’oceano per ora – hanno avuto un sussulto di coscienza chiedendo in una lettera aperta alla politica di fare quello che tutti i politici sognano di poter fare: alzare le (loro) imposte: “Per piacere tassateci – conclude la missiva firmata tra gli altri da Abigail Disney, l’erede dell’inventore di Paperone, e dai fondatori del gelato Ben & Jerry – È la scelta più giusta e l’unica. L’umanità è più importante dei nostri soldi”. L’appello al limite dell’autolesionismo all’aumento delle proprie aliquote non è una novità. I due maggiori filantropi del pianeta – Bill Gates, il fondatore di Microsoft e Warren Buffett, l’oracolo di Omaha – chiedono da anni un giro di vite fiscale sui super ricchi. All’ultima edizione del meeting di Davos – non proprio un raduno di francescani – il gruppo dei “Patrioti milionari”, guidato dall’ex numero uno di Blackrock Morris Pearl, ha lanciato un appello nella stessa direzione: “La ricchezza estrema è il sintomo di un sistema economico che non funziona – hanno scritto nella missiva 121 grandi imprenditori – Le tasse sono l’unica soluzione, e la migliore, per essere certi che gli investimenti nella nostra società vadano davvero dove ce n’è bisogno. E chi rifiuta questa idea è un pericolo per la democrazia e per il clima”.
Non è un vezzo radical chic
Uno sfizio da radical-chic senza il problema di sbarcare il lunario? I milionari dal cuore d’oro dicono di no. E spiegano con i numeri la loro posizione. Le 2.150 persone più benestanti del pianeta – calcola Global Citizen – valgono 10 trilioni di dollari, 30 volte i soldi che servirebbero per strappare tutti gli abitanti del pianeta dalla povertà. E negli ultimi tempi – sottolineano – le distorsioni fiscali a favore di chi sta troppo bene, invece che ridursi, sono aumentate. La pressione fiscale sulle aziende a livello globale si è dimezzata o quasi negli ultimi 35 anni passando dal 49% del 1985 al 24% attuale. La cultura degli utili a tutti i costi predicata da Wall Street ha creato il mostro dell’"ottimizzazione fiscale”. Ovvero quella caccia alla riduzione delle imposte che ha convinto molte aziende a traslocare i profitti in paradisi offshore, staterelli o piccole isole dove oggi è parcheggiato il 10% del Pil mondiale.
Come il Covid ha cambiato i patrimoni
La crisi del Covid ha addirittura allargato la forbice tra le fortune dei Paperoni e i problemi dei lavoratori travolti dalla pandemia. Abigail Disney, per dire, ha attaccato frontalmente l’ex-azienda di famiglia quando in piena crisi sanitaria ha lasciato a casa migliaia di stagionali gratificando allo stesso tempo il numero uno Bob Iger con uno stipendio, bonus compresi, di 64 milioni di dollari in un anno. La saggezza popolare, del resto, sostiene non senza ragione che piove sempre sul bagnato: la fortuna di Jeff Bezos, tanto per dire, è lievitata da inizio anno di 68 miliardi e secondo Business Insider il numero uno di Amazon ha guadagnato in questo periodo in un secondo il doppio di quanto un lavoratore medio in Usa prende in una settimana. Fatto che brucia ancor più visto che i 400 uomini più ricchi d’America – come ha calcolato uno studio di Emmanuel Saez e Gabriel Zucman dell’università di California a Berkeley – hanno pagato nel 2018 solo il 23% di tasse, meno del 24% pagato in media dalla metà più povera del Paese. La via fiscale, ovviamente, non è l’unica strada percorribile per chi vuole fare un po’ di redistribuzione sociale della ricchezza del pianeta. Molti dei Paperoni planetari, in attesa messianica di un po’ di tasse in più, hanno provveduto a donare un po’ del proprio tesoretto con la filantropia. I più generosi sono i soliti noti: Bill Gates e la moglie Melinda hanno destinato 34 miliardi dei loro beni alla fondazione che porta il loro nome. Che in quest’era di pandemia, ad esempio, ha investito 2 miliardi per garantire una distribuzione più equa del vaccino. Warren Buffett ha staccato 34 miliardi di assegni per beneficenza. Si tratta però di eccezioni. I 20 super-miliardari destinano a opere di bene solo l’1% del proprio patrimonio. Ed escludendo Gates e Buffett la percentuale scende a un disonorevole 0,3%. Il tam-tam di marketing legato allo stanziamento di 100 milioni per combattere il coronavirus da parte di Jeff Bezos è stato impallinato dai social network, che hanno fatto notare che quella cifra corrisponde più o meno a quanto nel 2020 ha guadagnato in circa otto ore di lavoro.
Meglio l’aliquota fissa
Il vero problema, dicono i fiscalisti, è che realizzare il sogno dei super-ricchi che vogliono essere tassati di più non è semplicissimo. Nell’ultima campagna presidenziale per la Casa Bianca solo Elizabeth Warren e Bernie Sanders avevano nel programma elettorale una “tassa sulla ricchezza”. Il nodo è come congegnarla, perché molti dei plurimiliardari hanno reddito relativamente basso a fronte di un patrimonio altissimo. La soluzione migliore, dicono gli esperti, è quella di colpirli con un’aliquota fissa sui loro beni patrimoniali ogni anno. Altrimenti il gettito rischia di essere relativamente basso. E anche in questo caso nella rete dell’Erario rischia di rimanere poco, visto che con accurate operazioni di tax-planning i Paperoni più avveduti hanno spostato da tempo la loro cassaforte in paradisi fiscali lontani dagli occhi dell’Agenzia delle entrate. La recente sconfitta della Ue – sconfessata dalla sua stessa Corte di giustizia sulla multa da 13 miliardi di euro per evasione alla Apple – dimostra che anche le istituzioni più preparate e attrezzate con stuoli di legali di grido faticano a far rispettare l’equità fiscale e a recuperare i 130 miliardi di tasse non pagate in Europa ogni anno. E per i ricchi del pianeta – al netto dei generosi appelli – la strada migliore per fare del bene resta sempre quella della filantropia.