il Fatto Quotidiano, 20 luglio 2020
L’Italia disperata che va all’asta
Effetto Covid, l’Italia va all’asta. Lockdown e pandemia portano 15,6 miliardi di euro di crediti deteriorati (Npl) in pancia alle banche, dice Nomisma nella ricerca “Dimensione del disagio abitativo pre e post emergenza Covid-19”, commissionata da Federcasa. Sofferenze e incagli bancari figli di mutui non pagati, affitti non riscossi su appartamenti gravati da debiti e procedure fallimentari. “Il coronavirus crea un pesante strascico legato ai default – spiega Mirko Frigerio, vicepresidente di Astasy, società leader di consulenza su aste ed esecuzioni immobiliari – ma è presto per un’analisi completa, servono 6-9 mesi”. Il pignoramento di una casa è “la morte civile”, lo definisce Bruno Cattoli, segretario milanese dell’Unione inquilini. Peggio di uno sfratto. Perché oltre a perdere l’immobile, dal momento dell’esecuzione si viene segnalati come “cattivi pagatori” alla Centrale rischi e non è più possibile accedere a forme di finanziamento o prestiti. Marchio d’infamia che rimane – da Codice civile – vita natural durante fino al sesto grado di parentela, con debiti ereditati fra generazioni. Inoltre le stime di Astasy dimostrano che, con l’immobile all’asta, si recupera in media il 56% del valore della casa. Non del mutuo. Che se è stato contratto in tempi di vacche grasse, quando il mercato immobiliare volava, può pesare ancora per anni sulle spalle del debitore. Perché “le società falliscono, le persone no”, dice Frigerio.
È il grande non detto delle politiche abitative e del mercato residenziale in Italia. Un terzo dell’immobiliare è fatto di esecuzioni e pignoramenti: 245 mila nel 2018 per 36,4 miliardi di euro su 579 mila compravendite classiche, secondo il colosso della consulenza PricewaterhouseCoopers (Pwc). Sono stati 204 mila i lotti messi all’asta nel corso del 2019. Se fare stime dell’effetto Covid è difficile, i dati storici non promettono bene. In media gli Npl (i primi 5 gruppi in Italia fanno utili per oltre mezzo miliardo) sono “garantiti” al 40% dal mattone. Il 70% di questi sono immobili residenziali-abitativi. La quasi totalità riconducibili a singole persone fisiche. Impossibile distinguere fra prime o seconde case messe a rendita in affitto, magari ai turisti. Basta farsi un giro nei centri storici di alcune località per capirlo. Alle Cinque Terre e La Spezia – fiore all’occhiello dell’Italia da cartolina – da 10 anni meta turistica di russi, inglesi, cinesi, americani con tanto di pubblicità delle “Five Lands” che svettano all’aeroporto Jfk di New York, è una strage di annunci per appartamenti in vendita. Per paradosso il 2020 segnerà il record negativo del settore. Perché il governo ha prorogato fino al 31 dicembre il blocco degli sfratti, e le prefetture non possono concedere l’uso della forza pubblica per qualsiasi esecuzione di sfratto.
Ma il 2021 sarà l’anno delle lacrime e del sangue. Entrerà a regime la nuova normativa voluta nel 2015 dal governo Renzi (legge 132) che ha velocizzato i tempi delle esecuzioni, comprimendo in 18 mesi una procedura per cui prima servivano 4 anni grazie alla presenza di un curatore (in genere un avvocato) che ha sostituito l’ufficiale giudiziario anche nei rapporti con le forze dell’ordine per liberare l’immobile. Un meccanismo che, al netto dei costi sociali rischia pure di non migliorare le performance e i valori di recupero. Che, anzi, con un meccanismo di aste basato su numerosi e rapidi ribassi del 25% può peggiorare il quadro. Così un immobile di 100 mila euro viene svenduto a 35 mila euro.
Ora il Covid ha esacerbato la situazione andando a innestarsi su un quadro macroeconomico che già prima della pandemia non prometteva bene. Chi lo dice? Per esempio DoValue, società controllata da Fortress Investement e SoftBank, che gestisce la più alta concentrazione di crediti deteriorati per conto del sistema bancario italiano, in particolare per Unicredit di cui un tempo era interna. Presieduta da Giovanni Castellaneta, ex ambasciatore in Usa e Iran ed ex vicepresidente di Finmeccanica, già nell’autunno 2019 DoValue scriveva che l’adeguamento a regole comuni europee per abbassare la quota di sofferenze in pancia alle banche, “la crescita dell’attività di recupero incentivata da modifiche normative e fiscali” e i “segnali di ciclo negativo in Italia” porteranno “a un ulteriore vento in poppa” alle loro attività nello Stivale.
I manager dell’immobiliare provano a mostrare sicurezza di fronte alla crisi e puntano a valorizzare gli asset sfruttando il Covid più o meno furbescamente. Gli studenti scappano dalle città universitarie? Per arginarli serve lo student housing, cioè residenze universitarie che vadano oltre il modello del classico dormitorio. Gli anziani si ammalano nelle Rsa? Ecco in arrivo il senior living, d’importazione Usa e francese, in cui si mettono a disposizione spazi per attività comuni e tutta una serie di servizi infermieristici. “La realtà – dice Luca Dondi, ad di Nomisma – è che si ripropongono vecchie formule o copiate dall’estero. Bisogna invece partire dalle funzioni che servono a un territorio e che può pagare invece di inseguire il valore di carico di immobili e terreni, magari con i cambi di destinazione per recuperare debiti e perdite”.
Una missione che vede in prima fila da un po’ di anni operatori specializzati. Proprio come DoValue (131 miliardi di crediti gestiti, leader nel Sud Europa), la bad bank pubblica Amco che ha appena acquisito due miliardi dalla Popolare di Bari, Prelios (oltre 30 miliardi), Credito Fondiario (51 miliardi) e altri. Pronti per lavorare come provider di servizi per banche e assicurazioni. Magari innestandosi su scelte politiche nazionali. È il caso dell’housing sociale. Secondo il piano Colao è la freccia da scoccare per rilanciare le politiche abitative in Italia miste pubblico-private e rispondere alle 5 milioni di famiglie che faticano ad accedere a una casa sul mercato. Cifre destinate ad aumentare. Ma gli interessi dietro all’housing sociale sono tanti e riguardano anche la valorizzazione del patrimonio immobiliare o fondiario abbandonato che genera incagli. Basta guardare agli attori. Per esempio nel quartiere Barona di Milano c’è uno dei “gioielli” sponsorizzato dalla giunta Sala dove s’incrociano i destini di banche, costruttori e società di recupero crediti. Realizzato al 60% con soldi di Cassa depositi e prestiti, Pessina Costruzioni, il fondo immobiliare Fedora di Prelios e Torre Sgr, società controllata dal principale investitore di DoValue, Fortress Investment, e da Unicredit. Basta un’occhiata alle poltrone al vertice e nei collegi dei revisori contabili per trovare il classico valzer fra uomini del gruppo bancario guidato da Jean Pierre Mustier, la fondazione bancaria alle spalle Cariverona e la stessa DoValue. Il presidente di Torre sgr è l’avvocato Fausto Sinagra, storico dg di Cariverona. Nel cda di Torre Sgr c’è Francesco Colasanti che siede anche nel cda di DoValue.
Dall’altra parte il terreno del recupero crediti fa gola a molti. Inclusi i novelli del settore. È il caso della Illimity Bank di Corrado Passera, scesa in campo un anno fa. Che si occupa di gestione e commercializzazione di beni immobili e non provenienti da procedure concorsuali ed esecuzioni immobiliari. Lo fa attraverso un network di piattaforme e aste online oltre a una rete di professionisti dislocati sul territorio italiano. Così come Covisian, storico outsourcer per i big delle telecomunicazioni come Fastweb. Che il 4 maggio, con la fine del lockdown, ha annunciato la nascita di Covisian Credit Management S.p.a, evoluzione della CSS S.p.a acquisita nel 2016 e che nell’ultimo triennio ha gestito 6 miliardi di crediti. Perché un operatore della telefonia e gestore di call center si lancia nel business del recupero crediti? Le commesse delle Tlc diminuiscono e non offrono più grandi margini. Allora Covisian può giocare la sua partita nella gestione creditizia vantando già strutture fisiche, digitali e personale dedicato. Per recitare una parte su un palcoscenico destinato ad affollarsi di attori. Grande crisi significa grandi debiti. Qualcuno se ne deve occupare.