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 2020  luglio 20 Lunedì calendario

Vip fascisti senza segreti

Il fascismo fu tirannia, repressione, indottrinamento. Ma non soltanto. Ancor prima di conquistare il potere, ebbe la capacità di raccogliere consensi negli ambienti più disparati e di catalizzare energie culturali e sociali non indifferenti. Una volta instaurata la dittatura, informò di sé ogni aspetto della vita italiana, lasciando tracce profonde, soprattutto sull’immaginario collettivo, anche dopo la catastrofe finale.
Di tutto questo troviamo ampia documentazione nel libro di Paolo Mieli e Francesco Cundari L’Italia di Mussolini in 50 ritratti (Centauria), arricchito dalle suggestive illustrazioni di Ivan Canu. La parte introduttiva affronta, sulla scorta delle più recenti acquisizioni storiografiche, alcuni nodi tematici di grande rilievo: il rapporto del regime con gli intellettuali, l’intervento pubblico nell’economia, la dialettica tra fascismo e monarchia, le vicende che portarono alla caduta del Duce il 25 luglio. Segue la rassegna dei ritratti, con un’ efficace sinergia tra il lavoro di Canu e le biografie dei diversi personaggi.
L’elenco stilato da Mieli e da Cundari comprende i principali gerarchi in camicia nera. L’accorto Dino Grandi, l’irruento Italo Balbo, il tormentato Giuseppe Bottai, il rampante Galeazzo Ciano (genero del Duce), il valente economista Alberto De Stefani, l’immarcescibile (e forse un po’ sottovalutato) segretario del partito Achille Starace, l’estremista antisemita Roberto Farinacci, il sindacalista profittatore Edmondo Rossoni.
Ci sono però anche personalità eminenti della cultura italiana. In primo luogo Gabriele d’Annunzio, dal quale il fascismo mutuò riti, immagini e slogan a non finire. Ovviamente Giovanni Gentile, il filosofo che ridisegnò la scuola italiana e fu ucciso dai partigiani nel 1944. Alfredo Rocco, mente giuridica dello Stato totalitario. Luigi Pirandello, che aderì al partito del Duce anche se la sua arte andava in direzione ben diversa rispetto ai dettami del regime. Filippo Tommaso Marinetti (ritratto da Canu in perfetto stile futurista), presente all’adunata di fondazione dei Fasci di combattimento in piazza San Sepolcro a Milano, il 23 marzo 1919. Giuseppe Ungaretti, che nello stesso 1919 inviava corrispondenze dalla Francia al «Popolo d’Italia» mussoliniano. E poi due artisti d’indubbio talento: il pittore Mario Sironi e l’architetto Marcello Piacentini.
Altri intellettuali, notano Mieli e Cundari, seguirono percorsi niente affatto lineari. Ecco Arturo Toscanini, prima candidato con Mussolini a Milano nel 1919 e poi esule antifascista. Massimo Bontempelli, Curzio Malaparte e Ruggero Zangrandi, approdati su sponde filocomuniste. Mino Maccari, che aveva partecipato alla marcia su Roma e poi fu tra i collaboratori più in vista del «Mondo» di Mario Pannunzio. Giuseppe Prezzolini, scettico e disincantato, non ostile pregiudizialmente a Mussolini, ma allergico alla dittatura.
Folta la rappresentanza femminile, alla quale Canu dedica alcune delle illustrazioni più belle del volume. Non potevano mancare le donne del Duce: la moglie Rachele Guidi, la figlia Edda, l’amante e biografa di Mussolini Margherita Sarfatti, la spasimante uccisa insieme al dittatore, Claretta Petacci. Si aggiungono due dive di Cinecittà: Doris Duranti, legata al gerarca Alessandro Pavolini, segretario del Partito fascista all’epoca di Salò; Luisa Ferida, eliminata assieme al marito Osvaldo Valenti.
Giustamente viene dato rilievo agli esponenti del potere economico, che seppero adattarsi al regime e ricavarne notevoli vantaggi. In primo luogo il senatore Giovanni Agnelli, fondatore della Fiat, che si assicurò una sorta di monopolio nella produzione di autoveicoli. Alberto Beneduce, figlio di un tipografo, che grazie alle sue capacità manageriali e alla fiducia di Mussolini divenne uno degli uomini più potenti d’Italia come presidente dell’Iri in seguito alla crisi economica mondiale del 1929. Giuseppe Volpi, fondatore del Festival del cinema di Venezia e capace di barcamenarsi tra repubblichini e partigiani nel periodo tragico dell’occupazione tedesca.
Sul re e sui militari si esercita la vena satirica di Canu. Vittorio Emanuele III è raffigurato come un burattino grottesco. Rodolfo Graziani regge un palo con appesi diversi impiccati, a ricordo dei suoi crimini nelle colonie africane. Pietro Badoglio in vestaglia e ciabatte apprende dai giornali dell’armistizio con gli anglo-americani, a simboleggiare l’irresponsabile passività del suo governo che portò alla tragica dissoluzione di ogni autorità l’8 settembre 1943. Il Paese natale del maresciallo, ricordano Mieli e Cundari, si chiama tuttora Grazzano Badoglio, come venne battezzato nel 1939. Ed è un fatto quanto meno singolare per un personaggio il cui nome resta legato ad alcune delle pagine più oscure nella storia novecentesca dell’Italia.