Corriere della Sera, 20 luglio 2020
La tomba dei Romanov e l’ultimo dilemma di Putin
Quando Nicola II, zar di tutte le Russie, rinunciò al trono con una formale abdicazione il 15 marzo 1918, la sua vita non era in pericolo. Era meno detestato della zarina – Aleksandra Fedorovna, una principessa tedesca – ma aveva molti nemici nel Soviet di Pietrogrado. Aleksandr Kerenskij, allora ministro della Giustizia, scrisse nelle sue memorie di avere reagito alle loro bellicose intenzioni dichiarando: «In qualità di procuratore generale ho il diritto di decidere della sorte di Nicola. Ma, camerati, la Rivoluzione russa non si è imbrattata di sangue e io non le permetterò di disonorarsi. No, non sarò il Marat della Rivoluzione russa». Ma nel momento in cui a Mosca pronunciava queste parole, il governo provvisorio decideva di procedere all’arresto della coppia imperiale.
Kerenskij non poté impedire l’arresto, ma sostiene di avere ottenuto che l’intera famiglia imperiale alloggiasse nel Palazzo d’Estate, costruito da Bartolomeo Rastrelli per la Grande Caterina, piuttosto che nella fortezza di Pietro e Paolo dove gli zar imprigionavano i loro avversari. Dopo qualche settimana, tuttavia, prevalse la convinzione che quella signorile prigione, a breve distanza dalla capitale, non fosse sicura e che sarebbe stato meglio isolare la famiglia imperiale portandola il più lontano possibile. Fu scelta una zona nei pressi di Ekaterinburg, sul lato orientale degli Urali, dove i rivoluzionari locali trovarono la casa di un mercante che sembrava perfettamente adatta allo scopo. Vi avrebbero vissuto fino a luglio Nicola, Alessandra, 5 figli, un medico, un cuoco e qualche domestico. Nel frattempo i rivoluzionari avrebbero raccolto la documentazione necessaria per un processo.
Ma nel frattempo era scoppiata in Russia una guerra civile fra le milizie bolsceviche e quella parte delle forze armate zariste che era decisa a restaurare l’ordine imperiale. Nelle fasi alterne della guerra vi fu un momento in cui i Bianchi avanzavano da oriente e si avvicinavano pericolosamente a Ekaterinburg. Che cosa sarebbe accaduto se lo zar liberato avesse preso il comando delle forze armate? Che cosa avrebbero fatto le grandi potenze se fossero state chiamate a scegliere fra uno Stato rivoluzionario dominato dal partito bolscevico, e una famiglia imperiale imparentata con quasi tutta la nobiltà europea?
Interpellato, Lenin decise che i Romanov sarebbero stati giustiziati. Non tutti erano dello stesso parere. Trockij avrebbe preferito un processo come quello che era stato celebrato a Parigi contro Luigi XVI, prima di consegnarlo, con moglie e figlio, alla ghigliottina. Ma Lenin, come fu definito da Gorkij, era una «ghigliottina pensante» e scelse il massacro che andò in scena nella casa del mercante durante la notte del 17 luglio.
Dopo avere eliminato la famiglia imperiale occorreva evitare che le tombe divenissero meta di pellegrinaggi. Le salme furono fatte a pezzi e i resti vennero segretamente sepolti in un bosco della regione. Dopo qualche anno, tuttavia, i nostalgici fedeli della Russia imperiale cominciarono la ricerca dei resti e la casa del mercante divenne meta di viaggi più o meno turistici. Quando era responsabile del partito per la zona di Ekaterinburg, Boris Eltsin ordinò la chiusura della casa. Dopo la fine dell’Urss i pellegrinaggi divennero leciti e frequenti.
Vi sono stati scrupolosi controlli per accertare l’identità di quelle ossa; gli ultimi, i cui risultati sono stati comunicati venerdì, confermano che i resti ritrovati nel 2007 appartengono a due dei figli dello zar, Alexei e Maria. Il governo russo ora dovrà decidere che cosa farne. Un mausoleo? Una dignitosa tomba in uno dei maggiori cimiteri di Mosca o Pietroburgo. Non certamente il cimitero lungo le mura del Cremlino dove sono sepolti Stalin, e alcune delle più eminenti personalità sovietiche degli ultimi decenni. Non è possibile seppellire la più celebre vittima della Rivoluzione d’Ottobre a breve distanza dal suo carnefice, Vladimir Ilic Ulianov, meglio noto con il nome di Lenin. Il Patriarca di Mosca, buon amico di Putin, potrebbe dargli una mano accogliendo San Nicola II (fu santificato con i membri della famiglia dopo la morte dell’Unione Sovietica) nella chiesa di Cristo Salvatore, costruita con i copechi del popolo dopo la vittoria contro Napoleone, distrutta da Stalin negli anni Trenta con una colossale carica di dinamite e ricostruita, grazie al sindaco di Mosca, dopo la fine del regime comunista.