Racconta con entusiasmo il suo prossimo film sulla figura di Edgardo Mortara, il bambino ebreo il cui rapimento da parte del Vaticano nel 1858 divenne un caso internazionale e su cui Steven Spielberg ha coltivato per anni un progetto, per poi rinunciare. Il regista ha scritto il soggetto «approfittando dell’isolamento da Covid», il titolo provvisorio è La confessione , alla sceneggiatura lavorano Stefano Massini e Susanna Nicchiarelli, produce la squadra di Il traditore, IBCmovie e Kavac Film con Rai Cinema.
Quando è nata l’idea?
«Ho letto anni fa un articolo su Edgardo, questo ragazzino ebreo portato via alla famiglia e che poi divenne cristiano e prete, ho comprato anche il libro di Messori che difende il Papa, ho pensato che la storia meritasse un film. Poi ho saputo che Spielberg aveva già questo progetto, era venuto in Italia per i sopralluoghi visitando la scuola dei catecumeni a Bologna, certo la sua sarebbe stata una versione inglesizzata della storia. L’anno scorso, ero negli Stati Uniti con Pierfrancesco Favino e ho scoperto che Spielberg aveva rinunciato al progetto non trovando l’attore ragazzino».
Spielberg si basava sul bestseller “Prigioniero del papa” di David Kertzer.
«Noi attingiamo alle fonti dirette, documenti storici, atti processuali, con la consulenza della storica Pina Todaro. Sarà un film di ricostruzione storica».
Una vicenda di grande risonanza internazionale.
«È come se la storia di Mortara passasse attraverso snodi storici strategici, tra cui la caduta del potere temporale del Papa. Il film non potrà seguire tutta la vita di Mortara, morto a novant’anni. Si partirà con il suo rapimento per finire, parlando in termini lineari, con la presa di Porta Pia. Il piccolo Edgardo, preso a simbolo da Pio IX che diventa un co-protagonista, è come un baluardo contro liberali, massoni, ebrei, contro il progresso, da cui è sconfitto. Addirittura il Papa è sollecitato da grandi banchieri come i Rotschild e da Napoleone III, che permetteva la sopravvivenza dello Stato Vaticano, ma niente: “Non possumus”. Si può finire anche con la morte della madre, che lui cercò tutta la vita di convertire ma lei disse “sono nata e morirò ebrea”. Il suo diventare cristiano è un mistero interessante: quanto ha pagato in termini di danni psichici? Nell’autobiografia Edgardo parla di momenti di abbattimento, rischi di ricoveri in istituti religiosi come se si dovesse curare, ma non specifica il tipo di disturbo. Girerà il mondo per raccontare la sua versione, con scarsi risultati».
Chi sono i protagonisti?
«Edgardo, la famiglia, i genitori che tenteranno di riaverlo, il fratello Riccardo con cui si scontrerà spesso, il Papa. E l’ultimo inquisitore, Feletti: nel ‘59, con Bologna liberata dai piemontesi, è processato per il ratto, si salva perché solo un esecutore».
Il film farà discutere.
«Inevitabile. È successo per Buongiorno, notte, accadrà per Esterno notte, gli storici diranno che è tutto falso...».
Il suo sarà un approccio laico.
«Sì. Secondo me c’è una evidente violenza del Vaticano nel rapimento in nome di un principio religioso. Il il bimbo — che era stato battezzato dalla domestica cristiana anni prima, in quanto creduto in punto di morte — sarebbe stato bene a casa sua, con la sua famiglia numerosa e benestante».
Una vicenda storica complessa. Quale sarà il cuore del film?
«Il mistero della conversione. Ma non nel senso di Messori che dice che si era veramente convertito. Si parte dalla indubbia violenza terribile perpetrata verso un bambino e dovuta al fanatismo religioso, l’idea che in nome di una fede si potesse fare tutto. Non sarà possibile farlo ma si potrebbe immaginare il nostro Mortara che si ritira in Belgio e muore nel 40, avendo visto le croci uncinate, il nazismo, la nuova violenza contro il popolo ebraico».
Sarà un film con attori italiani?
«È quello che vorrei, immagino un Edgardo bimbo e uno adolescente. Quando si prepara una storia internazionale si pensa anche, per motivi coproduttivi, a attori stranieri, per Il traditore si era parlato di Javier Bardem e Benicio Del Toro. Poi, con il felice arrivo di Favino, le cose sono andate nel modo migliore. Il mio orecchio non tollera più l’idea del doppiaggio, i personaggi sono italiani. È vero che nel film ci sono delle scene madri ma spero che non serva un budget esplosivo».
In ogni storia che racconta c’è un legame personale forte.
«Mi sono separato presto dalla fede cattolica, fino a dieci anni credevo ai preti, temevo le fiamme eterne, di morire e non avere la grazia. Questo tipo di disponibilità di un bimbo nei confronti delle autorità è un tema che mi tocca. Poi qualcuno mi ha criticato perché quella fede perduta ho cercato di ritrovarla in un certo tipo di radicalismo politico e poi anche psichiatrico con Fagioli. Amici e colleghi lo hanno considerato una sorta di accecamento, Monicelli mi dava del rincoglionito. Nei momenti in cui Mortara ha disperato bisogno di fiducia nella Chiesa e nel Papa, ci sono dei richiami alla mia vita ri-rappresentata e ritradita».
Cosa le ha fatto perdere la fede?
«Scoprire il mondo esterno, gli amici, le letture, l’altro sesso ha fatto sparire le paure. A quattordici anni ero in collegio dai padri barnabiti al san Francesco di Lodi, c’era ancora la regola della messa prima delle lezioni, io non credevo già più. Poi le paure sono diventate altre».
Da ex pittore lei lavora per immagini. Ne ha una del film ?
«Il bambino, già in Vaticano, che sogna di schiodare Gesù dalla croce. L’immagine nasce dalla mia lunga esperienza del Cristo deposto, deposto morto e che poi risorge. Invece è come se Edgardo, figlio del popolo accusato di deicidio, sognasse di toglierlo dalla croce. Il bimbo racconta il sogno al Papa che quasi piange dalla gioia pensando: “L’ho conquistato”».