la Repubblica, 20 luglio 2020
Biografia di Sanna Mari (premier finlandese)
Giovane, ambientalista, di (centro)sinistra, socialdemocratica, europeista, anti-disuguaglianze e nemmeno figlia di papà. Perché ci si è messa anche Sanna Marin a complicare la vita all’Italia? Ieri, la 34enne premier finlandese, al comando di una coalizione di governo in patria tutta giovane e al femminile – gli altri quattro partiti del blocco sono guidati anch’essi da donne, di cui tre under 35 all’insediamento – si è schierata con i Paesi “frugali”, ossia i Paesi Bassi dello “spauracchio” Rutte, altri due Paesi nordici e entrambi guidati da socialdemocratici come Svezia e Danimarca, e infine l’Austria del premier Sebastian Kurz, che di sinistra non è, ma insieme a Marin costituisce la coppia di capi di governo più giovane del mondo: 33 anni per l’austriaco, 34 per la finlandese.
Sinora, Sanna Marin è stata travolgente in Finlandia, promettendo subito più uguaglianza, welfare e l’ambizioso obiettivo di zero emissioni entro il 2035. L’anno scorso è salita al potere dopo che il suo ben più esperto predecessore Antti Rinne è caduto sugli scioperi delle Poste. Prima, Sanna era stata ministra dei Trasporti e aveva guidato per 5 anni il consiglio comunale di Tampere, dove vive ancora oggi, a due ore dalla capitale Helsinki e dalla residenza Kesäranta del premier, insieme al compagno Markus e la piccola Emma, due anni. Eppure Marin non ha avuto una vita facile da bambina: il padre alcolizzato, il divorzio dei genitori, una tranquillità ritrovata solo quando la madre ha cambiato vita ed è andata a vivere, con Sanna, insieme alla nuova compagna. Ma Marin, come gli altri nordici frugali Svezia e Danimarca, ha una maggioranza politica estremamente precaria in patria. E i populisti euroscettici, in questo caso i “Veri Finlandesi” di Jussi Halla- aho, sono in netta crescita, alle elezioni dell’anno scorso e nei sondaggi. Dunque tocca arginarli e per questo Sanna ora parla di «No Deal possibile» sul Recovery Fund, di «prestiti e non soldi a fondo perduto», di «riduzione del budget», eccetera. Eppure, in un’intervista a “Vogue” nemmeno quattro mesi fa, proclamava che «una delle ragioni per cui il populismo cresce è per esempio il modo in cui abbiamo gestito la crisi dell’euro, con l’austerity. Così molti hanno perso il lavoro, la speranza e i populisti hanno avuto gioco facile». Una lezione già dimenticata.