Il Sole 24 Ore, 19 luglio 2020
Se la realtà è davvero incerta
In una famosa conferenza del 1932, Light and life, Niels Bohr fece un’incursione in campo biologico applicando alle scienze della vita la sua idea prediletta, il principio di complementarità. Ne concluse che un’interpretazione fisica delle funzioni vitali era difficoltosa, perché la necessità di tenere in vita l’oggetto di studio appariva incompatibile con una sua analisi fisico-chimica spinta al livello atomico. Nonostante questa nota di cautela, furono proprio le osservazioni di Bohr a spingere alcuni giovani fisici quantistici (tra i quali Max Delbrück) a raccogliere la sfida e a individuare nelle mutazioni genetiche un fertile campo di ricerca.
Da allora, sono stati tanti i fisici “prestati” alla biologia che hanno fornito contributi rilevanti nel campo della genetica molecolare. A questa tradizione appartiene anche il nostro Edoardo Boncinelli, formatosi alla scuola fiorentina di fisica di Toraldo di Francia e approdato poi all’Istituto di genetica e biofisica di Napoli, dove negli anni ’80 effettuò gli studi sui geni omeotici per i quali è internazionalmente famoso. Non è dunque solo come grande divulgatore, ma anche come fisico, che Boncinelli ci regala oggi una piccola perla: una limpidissima trattazione del principio di indeterminazione di Heisenberg, che, pagina dopo pagina, si amplia fino a diventare un illuminante discorso sulla visione quantistica del mondo.
Quando, nel 1927, Werner Heisenberg – che nei due anni precedenti aveva costruito, assieme a Max Born e Pascual Jordan, la meccanica quantistica, in una veste matematicamente complicata e poco trasparente sul piano fisico – pubblicò il lavoro Sul contenuto intuitivo della cinematica e della meccanica nella teoria quantistica, il suo obiettivo era precisamente quello dichiarato nel titolo: tradurre le leggi della nuova teoria in una forma più accessibile all’intuito (a quello dei fisici, perlomeno). Per certi aspetti l’obiettivo fu centrato, ma le implicazioni concettuali messe in luce da Heisenberg si rivelarono sconvolgenti. La relazione di «indeterminazione» (Unbestimmtheit) scoperta dal giovane fisico tedesco mostrava che, diversamente da quanto accade nella fisica classica, e da quanto siamo soliti pensare sulla base dell’esperienza ordinaria, un corpo non può avere simultaneamente una posizione e una velocità ben definite. Se la sua posizione è individuata con precisione, la velocità sarà totalmente indeterminata, e viceversa (il che significa che, quantisticamente, un corpo non può starsene fermo da qualche parte). Più in generale, il prodotto delle indeterminazioni della posizione e della velocità non è mai nullo, ma sempre maggiore di una quantità proporzionale alla costante di Planck (è la formula che compare sulla copertina del libro di Boncinelli, con le definizioni originali delle indeterminazioni, che differiscono per un fattore numerico da quelle usate oggi). Non si tratta – beninteso – di una limitazione pratica, legata all’imperfezione dei nostri strumenti di misura, bensì di un’incertezza insita nella realtà delle cose.
Non meraviglia che, fin dal suo apparire, il principio di indeterminazione sia stato accompagnato da dibattiti, tentativi di interpretazione e veri e propri fraintendimenti. Nel 1930 il fisico Giovanni Polvani, all’epoca uno dei pochi in Italia a padroneggiare la nuova fisica, lamentava il fatto che «per il principio di indeterminazione, per questo dissolvimento delle leggi naturali – come teme alcuno – per questo ritorno al mondo democriteo, posto a caso – come altri crede – già da tre anni si lanciano gravi rampogne contro i fisici, da parte di molti dotti incompetenti o, se non vi dispiace, da molti competenti indotti». A dire il vero, anche qualche fisico di prim’ordine (Eddington, per esempio) contribuì a fare confusione, per non parlare delle amenità diffuse dai giornali, come l’accostamento proposto dal «New York Times» tra il principio di Heisenberg e il crollo della Borsa del 1929.
Molto opportunamente Boncinelli intitola uno dei capitoli del suo libro «Quello che il principio non dice». In effetti, il modo migliore per capire che cosa davvero rappresenta il principio di Heisenberg è smentire le idee sbagliate sul suo conto. L’elenco è lungo: il principio di indeterminazione non introduce la soggettività nelle scienze della natura, non stabilisce che tutte le grandezze sono incerte, non si applica al mondo macroscopico, non riflette un’incompletezza della fisica (da colmare, magari, con il ricorso al trascendente). Per dirla tutta, non è nemmeno un «principio» in senso stretto, bensì una relazione che consegue dai postulati fondamentali della meccanica quantistica.
Un punto importante sottolineato da Boncinelli è il fatto – non sufficientemente noto – che, se da un lato, il principio di indeterminazione pone le limitazioni di cui abbiamo detto sulla descrizione classica del mondo, dall’altro spalanca una serie di possibilità classicamente impensabili. Per esempio, permette che avvengano dei processi che sarebbero proibiti dalla legge di conservazione dell’energia, come la materializzazione di un fotone in una coppia particella-antiparticella, che può verificarsi purché i due corpuscoli prodotti siano «virtuali», cioè abbiano una vita media limitata e si ricombinino in un tempo brevissimo.
Lungi dal porre barriere alla conoscenza umana, come spesso si sente dire, il principio di indeterminazione è una conquista del pensiero che dischiude orizzonti inaspettati. Naturalmente, non si può pensare di estrarlo dal suo contesto (che rimane quello atomico e subatomico) ed estenderlo a situazioni della vita quotidiana, o invocarlo nei dibattiti sulla coscienza e sul libero arbitrio con l’idea di trarre qualche conclusione «scientifica». È un risultato che i fisici usano davvero «intuitivamente», per fare stime e risolvere problemi, e che al tempo stesso contraddice il senso comune, intriso di vecchia fisica (o di fisica ingenua): un punto nodale della teoria quantistica in cui il possibile e l’impossibile si incontrano, sfidando – come al solito – la nostra immaginazione.