Il Sole 24 Ore, 19 luglio 2020
Vite (con troppi errori) di matematici illustri
Dopo la pubblicazione nel 1905 del celebre articolo sulla teoria della relatività, ristretta ai soli moti relativi uniformi, Albert Einstein cominciò a riflettere sulla possibilità di estendere la sua teoria a qualunque moto generico, ma solo nel 1912, dirà egli stesso in seguito, gli venne «l’idea decisiva» suggeritagli dall’«analogia tra il problema matematico della teoria della relatività generale e la teoria gaussiana delle superfici». Einstein approfondì allora lo studio della geometria differenziale di Riemann, che estendeva la teoria di Gauss a spazi a più dimensioni, e si familiarizzò con un nuovo calcolo che gli fece scoprire Marcel Grossmann, compagno di studi e collega al Politecnico di Zurigo.
Quel nuovo calcolo differenziale assoluto come si chiamava all’epoca il calcolo tensoriale, era stato elaborato nel corso di un paio di decenni da Gregorio Ricci-Curbastro, professore dell’Università di Padova, che ne aveva presentato metodi e applicazioni in un epocale articolo del 1901, scritto con l’allievo Tullio Levi-Civita, e finito nelle mani di Grossmann. Sono Ricci e Levi-Civita i matematici italiani che danno il titolo a questo libro di Judith Goodstein, i matematici che hanno creato e messo a punto lo strumento che ha consentito a Einstein di formulare le corrette equazioni della relatività generale.
L’argomento è interessante, anche se il ruolo svoltovi in particolare da Levi-Civita è stato raccontato molte volte in anni recenti (anche da me su queste colonne in occasione dell’intitolazione del Dipartimento di matematica patavino al nome del suo illustre studente e docente). La prima metà del libro di Goodstein è dedicata alla figura e all’opera di Ricci, nella seconda metà gli viene affiancato Levi-Civita, un po’ riduttivamente introdotto come «l’alter ego» di Ricci. Nel tracciare la loro biografia Goodstein si è avvalsa di fonti di prima mano, materiali d’archivio e lettere di cui vengono ampiamente citati ampi tralci che, curiosamente, sono spariti o solo sommariamente riassunti nella traduzione italiana. Invece Goodstein si barcamena con la storia patria (il Risorgimento è ridotto a due righe, a suo dire opera di Cavour il quale tra il 1859 e 1861 «sistematicamente aveva annesso una regione dopo l’altra, usando rivolte popolari, plebisciti truccati e interventi militari») e con le peculiarità didattiche e accademiche del’università italiana del tempo, onestamente difficili da cogliere per un autore americano ma non (almeno in teoria) per un traduttore italiano.
Fa un certo effetto vedere la legge Casati, che ha governato il sistema dell’istruzione secondaria e universitaria italiana dall’Unità fino alla riforma Gentile, ridotta a «un set completo di programmi e promozioni» nemmeno fosse una batteria da cucina in una televendita, o il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione sistematicamente chiamato il «Sommo consiglio», o Enriques all’epoca professore incaricato, presentato come un «istruttore di geometria proiettiva e descrittiva» o ancora un professore straordinario come professore associato (figura inesistente all’epoca) o la laurea scambiata per un dottorato (pure inesistente in Italia).
Ma, per quanto fastidiose, queste sono pecche veniali al confronto di quelle che ci riserva la traduzione italiana. È noto che quello del traduttore è un compito assai arduo. Tanto che «traduttore, traditore» è un vecchio adagio familiare nel mondo dell’editoria. Ma in questo caso quell’adagio è solo una sintesi benevola di questa traduzione del testo di Goodstein. Altro che traditore! Non si contano gli errori di traduzione, che rendono il testo incomprensibile o privo di senso, spesso con involontari ma irresistibili effetti comici.
Tra i tanti, un paio di esempi di comicità involontaria: che dire del povero Riemann che per il traduttore, con l’immancabile refuso, «languì negli Archivi di l’Accademia di Francia fino al 1876» mentre era già morto dal 1866, e a «languire» negli archivi – dice il testo originale – fu una Riemann’s entry, una sua memoria (peraltro Riemann era già stato maltrattato dal traduttore poche righe prima) o di Levi-Civita «poco imponente fisicamente (alto a malapena cinque piedi)», cioè un metro e mezzo, che nella traduzione diventa «piuttosto insignificante fisicamente – alto appena un metro e ottanta» dove l’effetto comico è esaltato da una foto di una decina di pagine prima che ritrae Levi-Civita con accanto la moglie che gli cresce di una spanna. Non si contano neppure i travisamenti che lasciano intendere cose che sono esattamente il contrario di quanto sostiene Goodstein nell’originale. Per non dire di parole, se non intere frasi, dell’originale omesse nella traduzione a insindacabile e arbitrario giudizio del traduttore, che rendono incomprensibile il senso del testo, matematico e non. Quando si parla di matematica, visibilmente il traduttore non ha alcuna idea di ciò che pretende di tradurre, il che è di per sé piuttosto grave per un libro che ha per argomento i matematici italiani e i loro risultati.
Judith Goodstein è un’archivista emerita, consapevole della propria scarsa familiarità con gli argomenti matematici del libro, e per questo si è saggiamente affidata all’aiuto e la consulenza di esperti. Non altrettanto è stato fatto per l’edizione italiana anche se, per evitare gli errori più clamorosi, sarebbe stato sufficiente far rileggere il testo ad uno studente di matematica. Ma non si tratta solo del senso matematico. Purtroppo, non si contano gli errori di traduzione e i fraintendimenti anche quando si tratta di un testo discorsivo. Il tutto reso in un italiano zoppicante, condito da un numero incredibilmente alto di refusi, ed errori di stampa come se il testo fosse stato mandato in stampa senza neppure esser stato riletto. Per giustificare affermazioni come queste si dovrebbero produrre opportuni esempi.
Ma per questo libro il compito è praticamente impossibile, poiché raramente ci sono più di due pagine di fila senza errori. Anche limitarsi a segnalare soltanto i più grossolani non sarebbe sufficiente lo spazio di questa recensione. In tanti anni non mi era mai capitata una situazione così imbarazzante. Se ho comunque deciso di scriverne è per mettere in guardia, per quanto possibile, qualche giovane (o meno giovane) incauto lettore attirato dal titolo.