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 2020  luglio 19 Domenica calendario

Due libri sulla Cina

La meritocrazia politica ha una lunga tradizione in Cina. La sua forma più moderna risale al periodo delle riforme post-maoiste, quando il partito comunista cinese, per evitare che si riproducesse il caos della Rivoluzione culturale, avviò un processo di selezione dei quadri fra gli studenti con eccellenti risultati accademici e qualità di leadership, provenienti dalle università più importanti. Eppure la maggiore criticità della meritocrazia politica in Cina è che i quadri di partito ed amministrativi, malgrado numerosi test e decenni di esperienza accumulata sul campo, vengono ancora promossi innanzitutto in virtù della loro lealtà nei confronti dei superiori politici.
Fra le contraddizioni più evidenti del sistema meritocratico cinese è il privilegio dei discendenti di funzionari comunisti influenti che trasforma la loro ascendenza in predominio. Diversi fra i principali leader cinesi, compreso il presidente Xi Jinping, sono espressione di questo vantaggio. Come argomenta Daniel A. Bell, in un sistema meritocratico con pari opportunità di salire ai vertici ci si aspetterebbe invece che pochi leader abbiano legami familiari con quelli del passato. 
Nel suo Sotto cieli rossi Karoline Kan, narrando la storia di tre generazioni, offre al lettore diversi esempi di questo meccanismo che fatalmente genera conformismo, subordinazione, clientelismo, corruzione. «Fin dal primo giorno delle elementari i bambini vengono addestrati all’opportunismo. Se mi avessero buttata fuori dall’Università per aver organizzato una manifestazione, il mio futuro sarebbe andato perduto». La meritocrazia comportava un’aspra competizione che, nella Cina urbana, iniziava sin dal primo anno di scuola.
Per le donne il percorso di emancipazione era stato particolarmente doloroso così come il controllo dei loro corpi. La politica del figlio unico, avviata dal governo di Pechino nel 1979, comportava sorveglianza e punizioni. Secondo un censimento demografico nazionale del 2010, la Cina ospitava 13 milioni di bambini senza un hukou non riconosciuti dal governo, i cui genitori non avevano potuto permettersi di pagare la multa sancita dai funzionari. Ciò impediva loro di iscriversi a scuola, sposarsi, avere un impiego legale e persino salire su un treno. 
Quanto alle donne che, per seguire la legge, si erano sottoposte alla sterilizzazione, secondo il Ministero della salute cinese, dal 1983 al 2015, esse furono più di un milione. L’altra faccia della medaglia della politica del figlio unico fu la selezione del sesso dei nascituri da parte delle famiglie che determinò la “scomparsa” dai 30 ai 60 milioni di bambine.

Nel 2010 la Cina subentrò al Giappone come seconda economia mondiale, un balzo in avanti spinto da decine di milioni di lavoratrici e lavoratori invisibili, per lo più “ombre sfruttate e sottopagate “, piegate dietro macchinari rumorosi.
Secondo Kan, una millennial che è riuscita ad emanciparsi attraverso lo studio più forsennato, «la Cina reale /…è/ un infinito treno espresso. Lavoriamo sodo per tenerci al passo, senza mai riposare per la paura che, nell’attimo in cui dovessimo fermarci, perderemmo traccia del futuro». Le esistenze di tanti ragazzi cinesi si sovrappongono sempre più a quelle dei loro coetanei stranieri. «Ci unisce la protesta contro una società che impone cosa è giusto” e cosa è “sbagliato”. Ma è lecito chiedersi per quanto tempo, dopo il varo della recente legge per Hong Kong. 
Simone Pieranni in Red Mirror, ritiene che non vi sia sostanziale differenza fra l’ansia di controllo del Politburo cinese e ciò che avviene dei nostri dati in Occidente, incamerati dalle Big Tech statunitensi. Tanto da porre la domanda retorica «Lasciamo i nostri dati alle aziende americane o allo Stato cinese?». Eppure, la progettazione della città ideale, il “modello globale di smart city”, nella visione imperiale di Xi Jingping non sarà frutto solo della ricerca cinese ma coinvolgerà anche alcuni Paesi europei e la Ue. La città ideale sarà dunque un progetto cinese da riadattare anche alle caratteristiche occidentali. «Le smart city rappresentano l’idea di un mondo efficiente, bellissimo e sostenibile. Ma quante persone potranno godere di questi paradisi terrestri ultratecnologici?», si chiede Pieranni. Al di là dell’entusiasmo dei governanti affascinati dal Panopticon urbano-digitale, le smart city rischiano in pratica di diventare un altro dispositivo di diseguaglianza. In questi agglomerati futuristici e tecnologici molto probabilmente potrebbero vivere soltanto persone ricche abbastanza da garantirsi la possibilità di risiedervi e utilizzare così risorse che non saranno a disposizione di tutti. Come, di fatto, già avviene nelle gated communities americane.
Il tema del lavoro, anche in Red Mirror, ricorda che il processo di crescita cinese, nella sua fase di fabbrica del mondo, si è sviluppato unendo velocità d’esecuzione, sottomissione e atomizzazione. Tali ritmi, pur nati all’interno di una cultura del lavoro che ha radici antiche e che affonda nella volontà di rendere un servizio alla propria nazione, sono stati traslati nelle aziende high-tech. Attraverso le loro collegate, come nella Repubblica Ceca dove esse stanno sviluppando un’importante industria elettronica ma con salari medi inferiori ai precedenti e turni di dodici ore, si rischia adesso una “sinizzazione” del mondo del lavoro nel cuore della stessa Ue. 
Se le nuove tendenze del capitalismo vanno cercate in Cina, allora dovremo prepararci anche al fatto che il lavoro non sarà l’unico strumento di affermazione sociale. Perché Pechino si arroga il diritto di decidere chi può lavorare e chi no. Con l’Intelligenza Artificiale, la tecnologia e diverse super-app, la Cina sta tratteggiando un “nuovo concetto di cittadinanza” che si basa su un sistema di crediti sociali e vite a punti, per stabilire l’affidabilità dei singoli. 
Secondo Pieranni è fuorviante parlare di Stato di sorveglianza perché all’origine di questo processo c’è la volontà dichiarata di Pechino di voler costruire un «ecosistema governato dalla reciproca fiducia, tanto fra cittadini quanto fra cittadini e Stato e cittadini e aziende». Può essere. Ma, a mio giudizio, tutto ciò apre inquietanti prospettive alla riesumazione dello Stato etico che, nell’Impero di Mezzo, ha radici nel pensiero di Confucio, ma in Europa è una categoria fondante dei regimi totalitari del “secolo breve”.