Il Sole 24 Ore, 19 luglio 2020
Pagine rigorosamente su carta blu
Blu, blu, il libro è blu... Potrebbe essere il titolo dell’originale catalogo preparato dalla libreria antiquaria romana Philobiblon per una fiera che si è tenuta a New York in primavera, appena prima della chiusura del mondo.Si tratta di 44 volumi dal 1540 al 1861, tutti italiani, tutti stampati su carta blu.
Il privilegio del blu era riservato a pochissime copie di alcuni testi molto particolari, in genere per destinatari eccellenti. E gli italiani, come spesso nel mondo della stampa, sono stati i primi occidentali a ideare questa variante: l’esemplare più vecchio risale al papà di tutti gli editori, il grande Aldo Manuzio, cou un De re rustica di cui oggi è nota una sola copia in blu, conservata alla Pierpont Library di New York. Probabilmente Manuzio, spiega Margherita Palumbo nell’accurata prefazione, nella sua Venezia aveva preso ispirazione dalla Cina, dove la carta blu era in uso da secoli. D’altronde anche a Venezia il colore blu era di casa, soprattutto per l’ampio utilizzo dell’indigo (o indicum, o blu delle Indie), una tintura vegetale importata dall’oriente, diffusa nell’industria tessile tanto quanto, appunto, nella colorazione della carta.
Coerentemente, veneziano è anche il primo titolo del catalogo: un classico dell’architettura come Il terzo libro di Sebastiano Serlio, stampato dal Marcolini nel 1540. E pure da Venezia, questa volta dall’editore Giolito de’ Ferrari, arriva nel 1546 una spettacolare copia di una delle migliori edizioni illustrate del Furioso di Ludovico Ariosto. Solo di pochi anni successiva (1558) è un’Apologia di Annibal Caro, donata dall’autore con dedica autografa a Marco Antonio Piccolomini, cofondatore dell’Accademia degli Intronati di Siena, mentre passano altri 17 anni prima che ci si imbatta nella più antica traduzione dei 15 libri degli Elementi di Euclide.
Senza dubbio le cinquecentine blu rappresentano il pezzo forte del catalogo, con 14 esemplari che si concludono con un manoscritto di fine secolo dei Vaticinia Pontificum attribuiti a Gioacchino da Fiore, in vendita a 40mila dollari. E fino a qui occorre anche dire che – se non si ha la fortuna di essere multimilionari e di essere miracolosamente scampati ai vari tracolli che in tempi recenti hanno assottigliato i patrimoni privati – più che pensare ad acquisti è consigliabile accontentarsi del possesso del catalogo, visto che i singoli libri viaggiano nella quasi totalità dai 15mila dollari in su. Va meglio quando ci si inoltra nei secoli successivi, dove anzi si trovano libri deliziosi per poche centinaia di euro; tanto più che anche in quell’epoca le copie in blu, in tutte le sue varianti, dall’azzurro al turchino, vanno a destinatari eccellenti. Tre le offerte con pedigree importante si segnalano i testi appartenuti a Guglielmo Libri (nomen omen), primario collezionista e ladro di volumi dell’Ottocento; gli altri proprietari non sono da meno: letterati, aristocratici, cardinali, specchi di un’epoca in cui leggere era attività da ricchi. E anche nel XIX secolo, quando le copie si moltiplicano, quelle su carta blu restano a simboleggiare il privilegio di classi altolocate che vogliono distinguersi dalla produzione più larga. Conseguentemente, annota sempre Margherita Palumbo, questi esemplari limitatissimi vengono donati dagli autori come «segno di ammirazione, gratitudine, rispetto, o anche in base a calcoli politici o accademici; e sono riservati a un apprezzato maestro, un sostenitore economico, un politico potente così come a un professore influente, co-fondatore di un giornale o compagno di accademia; oppure anche a una donna amata o a un amico certo».
Esemplare il caso del genero di Vincenzo Monti, il conte Giulio Perticari, che nel 1816 dà in stampa un breve testo a Pietro Giordani, amico e mentore di Giacomo Leopardi. Accanto alla tiratura normale, Giordani produce 40 copie speciali «che potrete distribuire agli amici vostri particolari» e una, una sola, «in carta distinta per la vostra biblioteca»: quella blu presente nel catalogo. E così questa singolare rapsodia in blu finisce anche col diventare un piccolo atlante dei libri come privilegio dei pochi: tema tutt’altro che minore per un Paese in cui la lettura ha così tanto stentato (e ancora stenta) a divenire patrimonio di tutti.