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 2020  luglio 19 Domenica calendario

Il Kamasutra, un trattato per l’alta società

Il Kamasutra è un grandioso affresco sociale veduto attraverso il prisma del desiderio, del piacere, dell’amore, dei rapporti sociali fra i sessi… Destino paradossale di alcuni testi celeberrimi, come questo: essere recepiti, almeno inizialmente e poi lungamente, in maniera del tutto lontana dalle intenzioni degli autori e dalle finalità delle opere stesse. Così il Kamasutra è stato recepito in Occidente come la descrizione pruriginosa di amplessi spasmodici e tortuosi, popolando con questo falso presupposto i punti di vendita più disparati, dalle sezioni patinate delle librerie di lusso alle edicole di sperdute stazioni di campagna. 
Nulla di più lontano dai propositi di Vatsyayana (III secolo circa d.C.), il brahmano di alta cultura e di grande savoir faire mondano che ha composto l’affascinante Trattato sull’Amore (tale il significato del titolo in sanscrito) riprendendo una plurisecolare tradizione di analoghe opere della quale nulla ci è rimasto salvo i suoi riferimenti. Il fine era quello di istruire su tutti gli aspetti molteplici del kama, letteralmente “desiderio, piacere, amore”, i nagaraka, “cittadini”, cioè gli uomini benestanti e della buona società, i giovani alla ricerca di una moglie o di un marito, le coppie di sposi, e le professioniste cioè le cortigiane; con uno sguardo generale soprattutto agli strati sociali più elevati. E come mai occorreva, nell’India tradizionale, un siffatto manuale, o trattato?
La risposta al quesito giustifica pienamente l’affermazione con cui si è voluto esordire e colloca il Kamasutra nell’orizzonte concreto della società e della spiritualità indiana antica, anziché nelle fantasie lascive di molti lettori europei dal periodo vittoriano ai giorni nostri. Una delle concezioni della fede hindu più diffusamente condivise propone un modello di vita esemplare che prevede, nel corso di un’esistenza religiosamente conforme e compiuta, di adempiere a tre fini. Ecco, in sintesi, la dottrina: il giovane, terminata la sua formazione cioè tradizionalmente a sedici anni, è ritenuto adulto; abbastanza inaspettatamente, il primo fine che proprio la legge sacra (il dharma) gli assegna è appunto il kama. In altre parole, la religione stessa fissa come obiettivo da raggiungere in questa prima fase della vita autonoma proprio il “piacere”, da godere con una legittima sposa, il piacere sessuale in senso stretto insieme con tutti i piaceri che i sensi procurano all’essere umano. (I successivi adempimenti saranno il “profitto”, ossia in termini attuali la carriera, e infine la diretta cura dello spirito: non ce ne occupiamo ora). Kama è dunque un compito sacro e, come per tutti i numerosi aspetti della conoscenza e della saggezza mondana, è inconcepibile nell’India antica che un compito tale possa essere svolto nel modo migliore senza riferirsi a un trattato autorevole che ne illustri e discuta ogni particolare: questo è l’humus dal quale rigoglioso si sviluppa il Kamasutra. Nella premessa sono implicite l’articolazione e l’estensione dei temi: la fruizione dei piaceri sessuali, certo, richiede la conoscenza delle modalità dell’atto d’amore più piacevoli a seconda dei requisiti fisici e psicologici dei partner, e questo ampiamente motiva l’argomento della “famigerata” II sezione, quella dedicata alle posizioni e pratiche d’amore. Ma questo argomento non è l’unico, ovviamente, perché i piaceri sensuali sciorinano un’ampia gamma di fruizioni: i preliminari erotici, il culmine del piacere, ma anche le profumazioni, i giochi di compagnia, gli aperitivi con gli stuzzichini, le serate musicali, gli spettacoli. E siccome il presupposto è il legame matrimoniale, ecco il capitolo sul corteggiamento; la vita coniugale (e amorosa) però può essere piena di sorprese: come non trattare della poligamia, perfettamente legittima, dei tradimenti, della prostituzione nonché (tutto il mondo è paese, come si dice, e pare pure che tutte le epoche siano quella odierna) di ricette, ricostituenti, afrodisiaci, olii per ingrossare il pene?
Questa panoramica vastissima va a formare il grandioso affresco di cui si diceva, introdotto con il consueto acume e con grande ampiezza di orizzonti interpretativi da Cinzia Pieruccini, responsabile di un accuratissimo (anche nella traduzione) Kamasutra da pochi giorni in libreria per Marsilio. Ne esaminiamo a titolo di esempio uno o due temi scelti fra quelli che si distinguono rispetto ai preconcetti occidentali sull’India. Uno fra i quesiti esaminati da Vatsyayana è se la donna abbia lo stesso “diritto” del maschio al piacere; per “piacere” si intende precisamente l’esperienza cui la povertà dell’italiano riserva il solo termine di “orgasmo”. Dopo avere rinviato all’ampia discussione fra i suoi predecessori a noi ignoti, l’autore risolve la questione in maniera perentoria: poiché la specie dei due partner è la stessa, quella umana, è evidente che la donna sia predisposta esattamente come l’uomo e con eguale intensità a raggiunge il culmine del piacere. E che legittimamente si aspetti l’appagamento: posizione modernissima! Poi, manifestando la grande intelligenza psicologica che lo distingue anche altrove e la sua grande signorilità, Vatsyayana aggiunge un corollario: di conseguenza, la donna va soddisfatta per prima; sul motivo non si sofferma perché è chiaro: se a essere soddisfatto è prima l’uomo, la signora resterà delusa e costretta ad aspettare. Probabilmente il dotto brahmano è ben consapevole di rivolgersi a maschi tanto arroganti quanto poco sensibili. 
Vatsyayana peraltro organizza il suo testo per rivolgersi sia agli uomini sia alle donne, perché è bene che esse pure acquisiscano la scienza del kama: altra posizione raggiunta in Occidente non proprio da molto! Per alcune sezioni quindi, come quella sulla richiesta di matrimonio, il destinatario è ovviamente l’uomo, per altre, come quella sulla prostituzione, Vatsyayana si indirizza a destinatarie femminili, con una serie di consigli clamorosamente spregiudicati su come valutare, irretire e sbarazzarsi, quando necessario, dell’amante. E il tradimento? Il terreno dove la trattazione affonda le radici è tipicamente indiano e i presupposti scontati sono due: la poligamia è ammessa; tutte le donne adulte, salvo le prostitute, sono sposate. Che cosa ne deriva? Il tradimento può consistere solo nel frequentare la sposa di un altro: non per nulla la sezione relativa (la V) è intitolata Le spose d’altri; i suggerimenti vanno dalle strategie di conquista della moglie altrui a quelle di difesa della propria. Ma se sposarsi è un obbligo dharmico, cioè previsto dalla legge sacra, l’amore verrà in seguito (nei casi più felici), o si dovrà manifestare proprio nei rapporti con spose, e rispettivamente mariti, altrui. E qui a dettare legge non sono la trattatistica e il Kamasutra, ma la passione, la narrativa, la poesia…