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 2020  luglio 19 Domenica calendario

Parchi divertimenti al collasso

Uno su cinque ma nel caso peggiore si può arrivare a uno su quattro. Sono i parchi permanenti in Italia che non hanno ancora riaperto a causa del Covid. Dei 230 in attività nel 2019 il 20% rischia di non riaprire più i cancelli o, più verosimilmente, la vecchia proprietà può decidere di passare la mano. «I parchi permanenti generalmente non chiudono ma passano di mano a speculatori o a fondi distressed (i cosiddetti fondi avvoltoi ndr) specializzati in attività con debito tossico – spiega Giuseppe Ira, presidente dell’associazione Parchi permanenti italiani -. Cercano di rilanciarli e tenerli a galla fino all’arrivo di un gruppo internazionale». 
Legati a doppio filo al turismo, al sentiment delle famiglie e alle condizioni meteo le proprietà dei parchi affrontano l’anno più difficile: «se va bene avranno il 100% dei costi e un terzo dei ricavi – sottolinea il presidente -. Le realtà che hanno alle spalle un grande fondo sono salvaguardate ma i piccoli imprenditori sono in maggiore difficoltà. L’errore fatto dal Governo con il decreto Liquidità è stato di affidarsi alle banche che si limitano ad erogare i fondi solo a società fortemente capitalizzate, in grado di rientrare dal debito, trascurando chi è veramente in difficoltà».
Acque molto agitate per questo settore del divertimento all’aria aperta che annualmente genera un business di due miliardi l’anno, di cui 450 milioni arrivano dai biglietti d’ingresso, e conta 60mila addetti di cui 10mila fissi, 15mila stagionali e i restanti legati all’indotto. «A rischio c’è la metà di questi posti di lavoro ma – continua Ira – sono anche fortemente a rischio gli investimenti in nuove strutture, attrazioni e il rinnovo degli percorsi, degli ambienti». Negli ultimi anni per queste attività venivano spesi un centinaio di milioni. «Nel 2021 al massimo verrano spesi 10 o 20 milioni» avverte Ira. Un quadro ben diverso da quanto è accaduto agli imprenditori del settore in Europa. «L’Italia è cenerentola in Europa perché il comparto non è considerato mentre in Francia, Spagna e Germania hanno ricevuto sovvenzioni e prestiti a 25-30 anni. A noi sarebbe bastato avere i finanziamenti del decreto Liquidità a lungo termine».
«Recuperare è impossibile, speriamo di perdere il meno possibile e che lo Stato ci sostenga con i fondi garantiti – aggiunge Emanuele Benedetti, titolare con la sorella Nadia del parco Faunistico Le Cornelle nella bergamasca -. La chiusura forzata ci ha fatto perdere l’equivalente di metà stagione perché l’affluenza massima si concentra tra marzo-aprile-maggio, quando eravamo in lock down. Possiamo calcolare di avere perso metà del fatturato, una perdita secca di 150mila visitatori che sarà impossibile recuperare anche a fronte delle misure che stiamo cercando di adottare, prima fra tutte l’apertura fino a fine anno». Preoccupano le ricadute occupazionali. «La partenza della stagione con tre mesi di ritardo rispetto al previsto avrà sicuramente un impatto non trascurabile sull’andamento del fatturato, con inevitabili perdite – premette David Tommaso della direzione di Leolandia, in provincia di Bergamo -. Abbiamo garantito tutti i posti fissi e buona parte degli stagionali con ulteriori potenziamenti in vista degli show all’aperto iniziati ieri». Le imprese chiedono regole certe che aiutino le attività all’aria aperta. «C’è incertezza nel pubblico, in particolare penso alle decisioni della Regione Lombardia. A differenza di quanto avvenuto in Veneto e in Emilia-Romagna, la Lombardia ha adottato delle scelte che hanno influito negativamente sui flussi turistici e le attività all’aperto». Servono soprattutto aiuti. Lo ha ribadito Ira in una call con il ministro Franceschini. «Ci serve lo stesso pacchetto di aiuti destinati agli alberghi – racconta -. La risposta è stata “sicuramente sì” ma così non è stato». Con la sottosegretaria Bonaccorsi non è andata meglio. «Purtroppo i soldi sono pochissimi e li abbiamo dovuto riservare agli hotel» si è sentito rispondere Ira che spera nell’arrivo dei recovery fund. Di certo l’industria turistica italiana meriterebbe ben altre risorse e attenzioni, al pari di quella francese con il presidente Macron che ha destinato al settore 18 miliardi.