La Stampa, 19 luglio 2020
Intervista a Christian Louboutin
Christian Louboutin è uno stilista di fama internazionale, le sue scarpe gioiello con la suola scarlatta sono un’icona di stile. Al Palais de la Porte Dorée a Parigi è in corso una grande mostra dedicata al suo lavoro creativo (Christian Louboutin - L’éxibitioniste), influenzato dalla passione per i viaggi e ricco di riferimenti alla cultura pop, al teatro, alla danza, alla letteratura e al cinema. «Il Palais de la Porte-Dorée è un luogo importante per me perché lo vedevo ogni giorno andando a scuola. Prima di qualsiasi altro viaggio ho viaggiato attraverso quel museo».
Ha realizzato i suoi sogni?
«Sì, ma l’aspetto divertente è che non ho mai pensato che fosse un sogno. Era un gioco diventato realtà, ma non sono mai stato bravo a proiettarmi nel futuro. Chi può sapere cosa ne sarà di te? Come si può decidere un obiettivo? L’unica cosa che ho sempre avuto ben chiara in mente è che doveva andare bene, non tanto in termini di successo quanto di armonia».
Lei è un ottimista, vero?
«Sono più felice che ottimista, perché talvolta bisogna essere pessimisti. Sono un allegro pessimista».
Sente di dover dimostrare qualcosa?
«Per molti questa è la cosa più importante, dimostrare ai genitori, fratelli o sorelle che sono persone degne. Non ho mai avuto questo problema, la mia famiglia era accogliente e sempre ben disposta. Non ricordo di aver mai detto a qualcuno: ti farò vedere cosa so fare».
A inizio carriera è stato l’assistente di Roger Vivier, il più grande stilista di calzature ai suoi tempi. Com’era?
«Aveva 79/80 anni ed ero appagato solo di stargli vicino e vederlo in azione. Era così interessante capire la sua creatività e come la esprimeva. Quando visiti un bellissimo giardino apprezzi il paesaggio, la prospettiva e altre cose, ma impari molto anche sulla persona che l’ha progettato. Parlando con Vivier, sono riuscito ad apprezzare l’armonia tra la sua personalità e le sue creazioni».
È verità o leggenda che lei non sia mai ansioso?
«Mai è una parola grossa ma è vero, di rado mi sento ansioso. Funziono. Faccio quello che devo e mi piace, solo a posteriori riesco a ricordare momenti di nervosismo. Un giorno cercavo di descrivere a due amici quanto il giorno prima mi sentissi triste, uno di loro mi disse: "Ma io mi sento ogni giorno così". Non riuscivano a credere che per me fosse una sensazione nuova e insolita e che ne fossi così sorpreso».
Non la preoccupa nulla?
«Fin da piccolo qualcosa mi diceva che non ha molto senso preoccuparsi. Da bambino non mi piaceva la senape ma vedevo che agli adulti piaceva. In seguito ho letteralmente ricoperto di senape le bistecche e ho imparato ad apprezzarla. Ogni volta che qualcosa sembrava preoccupante, spezzavo la tensione con un gioco».
E’ vero che le piace giocare con le parole?
«Da bambino ero dislessico. So che sembra strano ma la dislessia è un’ottima cosa perché ti obbliga a scoprire un altro mondo. Mi interrogavo, scrivevo le parole e le ricombinavo. Mi piace l’arte perché una volta che inizi ad analizzarla scopri qualcosa di te stesso. La gente tende a sopravalutare l’istinto. Va bene ascoltarlo ma bisogna anche analizzarlo. Altrimenti se ne diventa prigionieri, come animali».
Come ha affrontato il periodo della quarantena?
«Sono andato al mare in Portogallo con le mie figlie e la loro madre. Da quando ho fondato la mia azienda non mi sono mai fermato così a lungo in un posto. Di solito non dormo mai nello stesso letto per più di una settimana. Ho scoperto la natura, è stato fantastico. Non sono un mistico ma vedo tutto questo come il segno che occorre una pausa, ritrovare un proprio ritmo, cambiare passo. Sono pronto a prendere una nuova direzione. Certo settembre sarà difficile, porterà uno choc economico e non ho ancora capito cosa succederà dopo».
Nel mondo del lusso cosa cambierà, e come?
«Il virus è stato un segnale chiarissimo da parte della natura: la salvaguardia dell’ambiente e la protezione della Madre Terra sono concetti che terrò a mente. C’è una generazione più giovane molto interessata alla sostenibilità e consapevole che acquistare un prodotto di lusso significa avallare i valori dell’azienda che lo produce. Se pensi che quel marchio non ha valori, né anima, non vorrai comprare nulla con la sua firma».
La gente continuerà a spendere per vestiti borse e scarpe?
«La pandemia ci ha proiettati nel futuro. Siamo passati dal 2020 al 2025, come se in tre mesi avessimo passato cinque o anche dieci anni. C’è un momento in cui devi accettare il fatto che il futuro è qui. Le vendite online sono esplose e questa tendenza è destinata a durare. Questo non significa che i negozi chiuderanno».
Nel libro Rizzoli sulla mostra un capitolo è dedicato all’architetto brasiliano Oscar Niemeyer. Poi ci sono Mae West e Andy Warhol, Yves Saint Laurent e Damien Hirst. Una storia davvero eclettica, no?
«Quando ho deciso di fare questa mostra ho pensato a me stesso come a un ragazzino che in quel luogo trovava quel che voleva. I visitatori possono scoprire un posto bellissimo e vedere cose inattese, anche se la mostra è dedicata al mio lavoro. La seconda parte è dedicata alle persone che mi hanno ispirato. In ogni tipo di lavoro creativo ci sono un sacco di richiami a canzoni, pittori, artisti. Li assimili e li fai tuoi».
Lei fa scarpe da collezione?
«Le mie scarpe sono assolutamente oggetti del desiderio. Le percepisco così: sono del tutto legate al desiderio».
È diverso progettare calzature per uomo o per donna?
«Se parliamo di scarpe sì. Pensi alle foto di donna di Helmut Newton intitolate Nude: è una donna nuda con le scarpe, ma non s’intitola Nudo con scarpe. Invece fosse un uomo si chiamerebbe così, come il bellissimo autoritratto di Lucian Freud nudo, con tavolozza e scarpe. In sintesi: una donna nuda con le scarpe resta nuda, un uomo appare buffo. Ecco, per me la differenza è questa».
Perché le donne amano così tanto le scarpe?
«Perché trasformano il linguaggio del corpo e permettono di acquistare consapevolezza. Si possono scegliere per stare comode, o per sentirsi attraenti. Molte le scelgono non per il colore ma perché esprimono uno stato d’animo».
Ha in mente un particolare tipo di donna quando disegna?
«No, perché sono cresciuto con tre sorelle e ho sempre sentito che in loro c’erano almeno 300 caratteri diversi. Cambiavano di continuo, non per gioco né per finzione. Non ho mai capito come si possano ridurre le donne a uno stereotipo».
Come riesce a mantenere vive la passione e la curiosità?
«Sono sempre curioso. Ho ancora la stessa fame di conoscenza, di nutrire il mio sorriso e la mia mente con tutto ciò che mi fa sentire vivo».
E la passione?
«Desiderio non è proprio la stessa parola ma alla mostra è esposta una foto di Bernard Faucon, con il suo commento: "A cosa assomiglia la fine del desiderio?". Quando l’ho vista mi sono commosso perché mi sono chiesto come possa essere una vita senza passione».
Continuerà a fare scarpe con la suola rossa?
«Sì, perché è un marchio di fabbrica. Ci sono poche cose su cui non amo scherzare ma tra queste c’è senz’altro l’identità delle mie aziende. Non si cambia la firma». —
Traduzione di Carla Reschia