Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  luglio 19 Domenica calendario

Santa Sofia strumento di potere per Erdogan

La basilica di Santa Sofia, a Istanbul, non era né cristiana né musulmana. Per le sue molte vicissitudini era diventata uno straordinario monumento alla spiritualità di tutti i popoli monoteisti. L’uomo che ne ha bruscamente ridotto le funzioni a quelle di un semplice luogo di culto si chiama Recep Tayyp Erdogan ed è presidente della Repubblica turca. Qualche rapido cenno alla sua vita può aiutarci a meglio comprendere perché abbia fatto di Santa Sofia una semplice moschea. In anni giovanili ha giocato in una squadra di calcio, ma aveva ambizioni politiche e voleva diventare sindaco di Istanbul. Mentre cercava voti in quella parte della società turca che ha forti tradizioni religiose, non esitò, durante un comizio, a recitare i versi di un poeta ferocemente islamico: «I minareti sono le nostre baionette, le cupole i nostri elmetti, le moschee le nostre caserme». La Turchia era ancora, in quegli anni, rigorosamente laica e kemalista (dal nome di Kemal Atatürk, il grande modernizzatore della Turchia fra le due guerre mondiali del secolo scorso) e il giovane Erdogan dovette, per incitazione alla violenza, fare qualche mese di prigione. Uscito dal carcere, tornò alla politica, attenuò le sue dichiarazioni pubbliche e riuscì a farsi eleggere. Amministrò Istanbul dal 1994 al 1998, ma una carica municipale, anche se in una straordinaria metropoli, non lo soddisfaceva e fondò un partito (Giustizia e Sviluppo) che, come altri della costellazione arabo-musulmana, era la versione islamica dei partiti popolari europei. Fece strada, divenne premier e dovette, come i suoi predecessori, affrontare il problema della minoranza curda (il 20% della popolazione). Sembrava disposto a una ragionevole convivenza, ma la luna di miele fu piuttosto breve ed Erdogan cominciò ad accusare i curdi di essere soltanto pedine terroriste nella mani di un partito che si batteva per l’indipendenza della regione in cui sono maggioranza. Quando scoppiò in Siria la guerra civile, Erdogan intervenne contro i ribelli e contro l’Isis a fianco della famiglia «regnante» degli Assad. Ma non passò molto tempo prima che usasse la guerra soprattutto per combattere i curdi (che hanno in Siria una forte comunità ) benché fossero i migliori alleati di Assad contro l’Isis. Per qualche tempo Erdogan dovette convivere con una casta militare laica d’ispirazione kemalista che non approvava le sue simpatie islamiche; ma riuscì a sbarazzarsene per via giudiziaria con alcuni processi e, dopo essere divenuto presidente della Repubblica, dette ai generali il colpo di grazia denunciando un colpo di Stato di cui sarebbero stati responsabili con un suo vecchio amico, l’Imam Fetullah Gülen, noto in Turchia per le sue posizioni eversive. Gülen è esule negli Stati Uniti dove gli americani sembrano decisi a proteggerlo per il giorno in cui potrebbe riconquistare il potere. Vi fu un momento in cui Erdogan sembrò desiderare l’ingresso del suo Paese nell’Unione Europa. È una prospettiva che diventerebbe meno irrealistica se la Turchia avesse un altro presidente.