la Repubblica, 19 luglio 2020
All’Italia servono subito 20 miliardi
Serve ancora ossigeno per mantenere in vita l’Italia dopo il dramma dell’epidemia e il conseguente blocco delle attività produttive. Almeno 20 miliardi: 6-7 servono per prorogare fino alla conclusione dell’anno la cassa integrazione che arriva all’esaurimento in agosto; altri 4-5 saranno necessari per ristorare le casse dei Comuni e delle Regioni in prima linea durante l’emergenza. Infine, altri 4-5 miliardi dovranno essere utilizzati per l’operazione di rateizzazione delle tasse (Iva, ritenute Irpef e Inps) sospese fino a settembre e il cui pagamento sarà spostato e rateizzato nel prossimo anno. Tenendo conto delle altre necessità, che inevitabilmente si caricheranno sul decreto di agosto, si arriverà ad una ventina di miliardi.
La caccia alle risorse quest’anno non ci sarà, perché lo strumento è uno solo: più deficit. Del resto, sospeso il Patto di stabilità europeo e con l’economia mondiale in pesante recessione, è l’unica strada percorribile. Il governo vi ha fatto già ricorso: con il cosiddetto scostamento di bilancio, che significa una richiesta di autorizzazione al Parlamento per aumentare il deficit pubblico.
Fino a oggi il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri hanno chiesto per i due decreti, Cura Italia e Rilancio, circa 80 miliardi, il deficit è salito al 10,4 per cento del Pil e il debito ha raggiunto il 155,7 per cento del Pil. Cifre destinate a salire con il nuovo intervento già annunciato dall’esecutivo.
È vero che il finanziamento del debito quest’anno sta funzionando: l’Upb (Ufficio parlamentare di bilancio) ha recentemente calcolato che, grazie al potenziamento anti-Covid degli acquisti della Bce, nel 2020 dovremo collocare sul mercato meno titoli del 2019: su 552 miliardi, 199 li acquista Francoforte e ne restano 353. Ma è vero anche che le spese pressano e che l’economia deve assolutamente recuperare, almeno del 4,7 per cento di Pil stimato dal governo per il prossimo anno, per rendere il quadro accettabile. Dunque investimenti e riforme.
Così i calcoli che in queste ore stanno facendo al Tesoro sono fortemente condizionati dal serrato calendario delle prossime settimane e da quanto accade a Bruxelles. Dopo il decreto e relativo sforamento ad agosto, arriverà settembre con due nodi cruciali: la nuova nota di aggiornamento al Def, dove si aggiornano conti pubblici, e il Recovery plan, cioè il piano dettagliato di investimenti da spedire alla Commissione per ottenere l’attivazione di prestiti e “grant”, cioè a fondo perduto.
Ce la faremo? Se le cose andranno bene, e se dovessero rimanere intatti i calcoli delle ultime settimane, l’Italia potrebbe contare sugli ormai “stracitati” 172 miliardi del Recovery Fund: sarebbero spalmati in quattro anni e il 6 per cento – come spiega il regolamento – arriverebbe nel 2021, circa una decina di miliardi. Ma è possibile che la trattativa cambi le carte in tavola, e che la cifra da investire in digitalizzazione ed economia verde venga ridimensionata. Senza contare che resta ancora tutta da valutare la combinazione tra le nuove risorse europee e la deregulation degli appalti: non tutti sono d’accordo che l’effetto sul Pil sarà esplosivo. Del resto, le esigenze non finiscono qui. Quest’anno la spesa per cassa integrazione sarà complessivamente di quasi una ventina di miliardi, tenendo conto delle nuove proroghe: per questo è indispensabile anche il fondo Sure, che finanzia gli ammortizzatori sociali. Lo abbiamo chiesto per 20 miliardi che serviranno proprio per finanziare le spese per la cig già fatte quest’anno e farci risparmiare in termini di interessi. Bisognerà comunque aspettare l’autunno e l’emissione dei bond tripla A da parte della Commissione europea. Un discorso simile vale per i 35 miliardi della Bei destinati agli investimenti produttivi. Altrimenti non ci sarà che andare a bussare al Mes, il contrastato fondo salva-Stati e i suoi 37 miliardi, da destinare tuttavia solo alla sanità.