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 2020  aprile 10 Venerdì calendario

Intervista a Claudio Strinati su "Il giardino dell’arte" (Salani)

Dieci città d’arte in dieci giorni. Un Grand Tour lampo, in salsa contemporanea. Con il Frecciarossa al posto della carrozza e l’iPad invece del taccuino. Così David, laureando canadese in gita pre-tesi, attraversa l’Italia come un novello Goethe, chiacchierando con le persone e scroccando visite guidate ai monumenti. Belloccio come il protagonista di La La Land ("Un po’ bambaluga, ma dolce"), resta sbalordito a Capodimonte ("Cool!"), si commuove davanti ai mosaici di Ravenna, accarezza i muri di Pompei e passa dalla saggezza popolare di un tassinaro della stazione Termini ("parla con la ggente, che ’e rovine resteno, l’ommini morono") a piccole stoccate al mondo dell’arte ("le parole della critica sono fatte apposta per non far capire niente a nessuno"). Vittima di una infatuazione da Vacanze romane, giunge a una consapevolezza finale: arte e amore coincidono. L’amore è come il Trionfo della Morte di Palermo: "Di uno dei capolavori dell’arte di tutti i tempi non si sa quasi nulla".

"Due grandi misteri" conferma Claudio Strinati, celebre studioso, massimo esperto di Caravaggio, ex soprintendente a Roma, che dopo una vita di saggi e cataloghi di mostre, firma il suo primo romanzo, Il giardino dell’arte (Salani). "Ho sempre amato raccontare. Ma non ho mai scritto una vera storia. Mi piaceva l’idea del romanzo di formazione".

Non solo arte dunque?
"L’apprendimento dell’arte non è mai fine a se stesso. Ma si rapporta alle cose della vita. Esiste un senso più concreto nell’imparare. Per questo la storia personale di David intreccia quella dell’arte di tutti i tempi aiutandolo a maturare".

Non a caso il libro comincia con Pinocchio.
"Che infatti è un romanzo di formazione nascosto nella favola del pupazzo che diventa uomo. Le favole parlano di trasformazioni, perché se restassimo uguali a noi stessi non ci sarebbe nulla da raccontare. L’arte testimonia queste trasformazioni. Nella mia fiaba dominano il tumulto dei sentimenti e le contraddizioni della crescita".

Perché sulla copertina ha messo la Città ideale, il capolavoro di Urbino?
"È lo specchio del nostro spirito. Ognuno di noi cerca disperatamente il modo di sentirsi a proprio agio nel mondo. Non inteso come luogo fisico. Ma mentale. L’arte lo ha rappresentato immaginando uno spazio perfetto".

David esordisce con il solito adagio "Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace".
"E infatti il suo professore lo striglia. Studiamo la storia delle arti per liberarci da luoghi comuni come questo, che offendono la mente e ci fanno perdere quella meravigliosa capacità di ragionare che è ciò che caratterizza l’essere umano e gli fa pensare di avere un’anima".

Ma allora cos’è la bellezza?
"Fa bene a chiederselo, ma non c’è un’unica risposta. L’opera d’arte genera sensazioni di bellezza, ma non dà soluzioni sui quesiti dell’esistenza. Fa riflettere, scuote le coscienze, indica come superare certi passaggi per rigenerarsi, per approdare a una dimensione più alta. La bellezza è questo viaggio interiore. Il piacere della ricerca, la gioia della conoscenza elevano lo spirito".

Veniamo al viaggio di David. Prima tappa, Roma.
"Un omaggio all’anno di Raffaello. La sua Scuola di Atene nelle Stanze Vaticane è un’altra città ideale; luogo della dialettica, della sapienza, della convivenza pacifica fra saggi. Ecco, qui c’è un’idea assoluta di bellezza".

Raffaello è definito un "super raccomandato".
"Anche super meritevole. È impensabile esercitare una funzione di tale livello se non inquadrati in un sistema di potere. Raffaello è un emblema universale: è bravissimo ma gode di appoggi giusti. La società è organizzata per strutture di potere e per catene di sostegni. È l’eterna questione per cui vizio e virtù sono sempre legati".

Si sa come morì?
"Probabilmente ammazzato. Non ci sono prove, ma come super raccomandato rientra nella casistica di quelle morti avvolte nel dubbio della soppressione".

Altro fattaccio: Cristina di Svezia che uccise Cartesio.
"Non direttamente. Il poveretto non riuscì a imporsi su questa donna determinata e aggressiva. È un esempio in cui la saggezza soccombe alla prepotenza del potere. Morì di freddo costretto a raggiungerla a Stoccolma per darle lezioni di filosofia".

Entriamo nelle pieghe di alcune vite. Bernini era un tombeur de femmes?
"Si parla spesso della sua vitalità fortissima. In un periodo storico dominato da figure segnate da omosessualità e spiccata sensibilità, sapere che un grandissimo come lui fosse un seduttore etero era spiazzante. Nelle sue opere emergono espliciti riferimenti all’orgasmo femminile, alla sessualità delle donne all’apice del desiderio. Come nell’Apollo e Dafne o nel Ratto di Proserpina. L’Estasi di Santa Teresa poi è da manuale".

Narcisista seriale?
"Al contrario. Direi molto generoso e attento alle esigenze erotiche delle sue compagne".

Giotto fu il primo artista pop della storia?
"Lo dice Dante: ’Credette Cimabue ne la pittura tener lo campo, e ora ha Giotto il grido’. L’urlo è una metafora del gradimento popolare, è l’onda che si propaga nell’opinione pubblica. Come i Beatles allo stadio, Giotto era una rockstar".

A un certo punto lei allude a un libro provocatorio su Leonardo, Michelangelo e Raffaello, da intitolare I tre falliti del Rinascimento. In che senso?
"Leonardo, lo sperimentalista, non riuscì a garantire la sopravvivenza fisica di molte sue opere. Raffaello smise di lavorare giovane. Michelangelo lasciò incompiute le ultime sculture. Volevo mettere in crisi il concetto di Rinascimento come apice e la gloria di una Santa Trinità dell’arte che non esiste. Questi geni non hanno stabilito un punto fermo, ma solo generato uno sforzo enorme di creazione. La consacrazione viene dal loro fallimento".

Però, nel romanzo, il progetto resta nel cassetto. C’è qualcosa di autobiografico?
"Anni fa lo proposi a un editore illustre. Ma non si poteva dire che il Rinascimento non esiste e fu bocciato. Secondo me sarebbe stata un’operazione di marketing vincente".

Dice anche che le opere di Leonardo "non sono un granché". Sta scherzando?
"Proprio no. La Sant’Anna con la Vergine e il Bambino del Louvre è veramente brutta. È goffa. La posa di Maria seduta sulle ginocchia della madre è una cosa comica. Un’opera modesta degli allievi. Leonardo delegava, e si sa. Matteo Bandello spiega bene quale fosse l’attività dei seguaci nel suo studio".

Un’opera tutta sua?
"La Vergine delle Rocce del Louvre è un autografo assoluto. E l’Adorazione dei Magi degli Uffizi. Su queste non ho dubbi".

Nel capitolo in cui David partecipa a un’asta, lei tocca il tema del mercato e si chiede come mai un Filippino Lippi valga un centesimo di un Jeff Koons.
"Riflettevo su una battuta del Silenzio degli innocenti, quando il dottor Lecter dice a Clarice che noi desideriamo ciò che vediamo. È un concetto potente. Quello che abbiamo sotto gli occhi incombe. È il privilegio del presente. Poi viene fomentato dalla pubblicità, dalle logiche dell’investimento, dal miraggio del prestigio sociale. Così il desiderio fa il prezzo".

Davanti alla Flagellazione di Cristo a Capodimonte apre il dibattito sulla scarsa qualità degli ultimi quadri di Caravaggio.
"Molti pensano che botte, aggressioni, fughe, violenza e carattere rabbioso abbiano generato un collasso stilistico. Tutte balle. Non subì nessun contraccolpo. Ho messo in bocca a David quella battuta scema sul fatto che Caravaggio si fosse ’rincoglionitò per bacchettare la lettura superficiale di alcuni miei colleghi".

Sul Cristo velato di Napoli è andato pesante, parlando di una "boiata".
"Perché volevo sfiorare una disputa antica. Davanti a opere enigmatiche regnano schieramenti opposti: chi vede un prodigio e chi una bufala, chi le giudica somme, chi risibili, massimo stupore o massimo disprezzo. Canova adorava il Cristo di Sanmartino; Leopoldo Cicognara lo definiva un trucco. È un monito per ricordarci che si può cadere nell’equivoco prendendo posizioni nette".

Cosa pensa dei romanzieri che fanno dell’arte un pretesto?
"Non apprezzo chi usa la storia dell’arte come sottogenere e il suo cosiddetto mistero come thriller, giocando su enigmi che non ci sono. Preferisco scrittori come Melania Mazzucco che abbinano una capacità narrativa notevole a una cognizione acuta. Ho appena letto L’architettrice. Molto bello".

Che altro fa in questi giorni di reclusione?
"Sto scrivendo un saggio sul Seicento e rileggo L’uomo senza qualità di Musil. Lo amo moltissimo. Confesso che alcuni passi del libro li ho presi da lui".

Senza spoilerare il finale, la storia d’amore le è venuta bene...
"Perché me ne intendo. Arte e amore convergono sempre. Ci metto la firma".