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Intesa Sanpaolo rilancia e prova a chiudere la partita su Ubi Banca. A dieci giorni dal termine stabilito per le adesioni all’offerta pubblica di scambio lanciata ormai cinque mesi fa e avviata ufficialmente lo scorso 6 luglio il gruppo di Ca’ de Sass rompe gli indugi e fa un passo in avanti, forse decisivo, verso i soci chiamati alla scelta, destinando loro in caso di adesione anche un corrispettivo in contanti pari a 0,57 euro per azione. Oltre allo scambio già previsto (1,7 azioni Intesa Sanpaolo per ciascuna Ubi) finiscono così sul piatto ulteriori 652 milioni di euro, portando al 44,7% il premio sulle azioni Ubi quando si considera il prezzo ufficiale del 14 febbraio scorso. Una scelta di tempo non causale, quella di Intesa, che il giorno dopo aver incassato il via libera dall’Antitrust ha immediatamente accelerato per trovare l’accordo con gli azionisti di peso della ex-popolare lombarda piemontese, finora disposti in ordine sparso di fronte alle condizioni poste per l’operazione. La decisione è stata infatti assunta «anche nell’ottica di evitare effetti divisivi, seppure non intenzionali, venutisi a creare tra stakeholder che si sono dichiarati, anche in fasi più recenti, favorevoli all’offerta rispetto a chi si è espresso in maniera contraria», ha ricordato Carlo Messina, che d’altra parte ha tenuto a sottolineare soprattutto le ricadute positive sulle famiglie e su un territorio di riferimento – quello delle provincie di Bergamo e Brescia – duramente colpito dall’emergenza Covid-19. L’operazione, ha osservato l’ad di Intesa Sanpaolo, «renderà possibile destinare liquidità a famiglie, imprese, enti e Fondazioni azionisti di Ubi» e mette «in campo un sostegno significativo per le comunità che intendiamo includere nella nuova realtà bancaria». Chiaro qui il riferimento agli 80 milioni di euro in più che in caso di adesione integrale all’offerta finiranno nelle casse delle Fondazioni (un corrispettivo superiore a quanto le stesse hanno incassato da Ubi sotto forma di dividendi negli ultimi dieci anni) e che potranno essere utilizzati a sostegno delle erogazioni alle comunità locali, e anche ai circa 310 milioni di euro che avvantaggeranno le famiglie e gli imprenditori del territorio. In precedenza il mercato aveva forse fiutato che l’atmosfera era cambiata rispetto ai giorni precedenti, nel corso dei quali i vertici di Intesa Sanpaolo avevano a più riprese escluso l’ipotesi di un miglioramento dell’offerta. In Borsa il titolo Ubi Banca aveva infatti chiuso la seduta in rialzo dell’1,2%, a fronte di una debolezza delle azioni Intesa (-0,4%). Il rapporto fra i due prezzi era quindi salito a 1,78 rispetto a quell’1,7 che di fatto riflette il concambio stabilito ormai oltre 5 mesi fa: un 5% in più che alla luce dei fatti può adesso apparire magro, ma che resta comunque significativo. Sull’argomento «ritocco» erano del resto stati piuttosto chiari i soci del Sindacato azionisti bresciani, che controlla quasi l’8% delle azioni Ubi: in un’intervista al Giornale di Brescia il presidente del patto, Franco Polotti, si era detto «convinto, anzi certo, che alla luce dell’andamento di mercato Intesa abbia ben chiaro che per raggiungere la maggioranza del 66,67% debba riconsiderare la proposta economica. Questa è la concreta e legittima aspettativa dei nostri azionisti che non può essere disattesa». Per effetto dell’annuncio la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, socio Ubi con il 5,9% e una delle voci più critiche all’operazione proprio per una questione di prezzo, ha riunito immediatamente il Cda e dato il via libera all’adesione, sottolineando in maniera positiva gli impegni, dichiarati pubblicamente da Intesa Sanpaolo in caso di successo dell’offerta, relativi all’organizzazione territoriale della nuova realtà aggregata. Altri azionisti critici – come il Patto dei Mille guidato dall’imprenditore Matteo Zanetti – potrebbero allinearsi nei primi giorni della prossima settimana e unirsi quindi anche a Cattolica e Fondazione Banca Monte di Lombardia che avevano già manifestato il proprio assenso. Intesa Sanpaolo ha confermato per il gruppo che dovrebbe nascere con l’operazione le stime sui coefficienti patrimoniali e le previsioni di utili e dividendi già presentato nel documento di offerta dello scorso 26 giugno (Cet 1 superiore al 13% nel 2021, utile netto non inferiore a 5 miliardi nel 2022 con un payout ratio pari al 75% per l’esercizio 2020 e al 70% per il 2021) anche alla luce del miglioramento dell’offerta. I 44 milioni di titoli Ubi Banca portati in adesione all’Ops fino a ieri sera, pari ad appena il 3,85% del capitale, non devono trarre in inganno: da ieri l’obiettivo per Intesa appare decisamente più a portata di mano.
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A dieci giorni dalla conclusione, si increspano le acque dell’offerta pubblica di scambio lanciata da Intesa Sanpaolo su Ubi Banca. Le tessere del puzzle lentamente stanno trovando la loro collocazione. Dopo il sì dei soci di Cattolica, che detiene l’1%, ieri hanno comunicato la volontà di aderire all’operazione tre realtà di peso dell’azionariato come il Sindacato azionisti bresciano (controlla il 7,67% % delle azioni), la Fondazione Banca del Monte di Lombardia (ha il 3,95%) e in serata, dopo l’annuncio del rilancio di Intesa, anche la Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo (ha il 5,9%), che solo due giorni fa aveva ancora espresso perplessità sull’offerta. Un terzetto che virtualmente mette nel piatto il 17,5% del capitale. Ora, con il Car spaccato e l’altro sindacato, il Patto dei Mille, diviso al suo interno con più soci favorevoli all’offerta, tra i pesi massimi mancano all’appello solo i due fondi (Silchester e Parvus) e Hsbc per avere un quadro sostanzialmente completo dell’operazione che al momento, secondo i dati di Borsa italiana, ha raccolto ufficialmente il 3,85% del capitale del target.
I grandi soci bresciani hanno rotto gli indugi ieri dopo mesi di silenzio, a lungo interpretati come un segnale di ostilità nei confronti dell’offerta (uno dei soci di peso, Giuseppe Lucchini, aveva abbandonato il patto annunciando di essere pronto, come altri soci, a valutare il progetto di Intesa). «Siamo per l’adesione alla proposta» ha annunciato il presidente del patto, Franco Polotti, in un’intervista al Giornale di Brescia, precisando però di «essere convinto che alla luce dell’andamento di mercato Intesa abbia ben chiaro che per raggiungere la maggioranza del 66,67% debba riconsiderare la proposta economica. Questa è la concreta e legittima aspettativa dei nostri azionisti». Un’aspettativa che si è concretizzata, nel tardo pomeriggio, nel rilancio di Intesa. Polotti aveva ribadito, tra l’altro, a questo proposito, che «17 azioni Intesa contro 10 di Ubi non bastano ai valori odierni di Borsa», perché Ca’ de Sass «si assumerebbe il rischio di restare a cavallo del 50% e questo non è saggio nè conveniente».
Mentre i diversi enti religiosi riconducibili alle diocesi di Bergamo, Brescia e Milano - titolari di ben oltre il 2% in parte conferito ai patti - stanno valutando le modalità per aderire, prima dell’annuncio ufficiale del rilancio ieri è arrivato il via libera dalla Fondazione Banca del Monte di Lombardia, con il cda presieduto da Aldo Poli che ha deciso all’unanimità di conferire il suo 3,95 per cento. Tra le motivazioni addotte, «l’attenzione dimostrata da Intesa Sanpaolo alla tutela del territorio e la sensibilità nei confronti del ruolo di presidio territoriale ricoperto dalla Fondazione». Altro punto a favore, nel giudizio del cda, «la prospettata politica della distribuzione dei dividendi che potrà permettere alla Fondazione una maggiore capacità erogativa». Anche questa decisione, come quella del Patto dei bresciani, è stata deliberata confidando in un miglioramento dell’offerta, che si è poi concretizzato in serata.
E proprio a valle della decisione di Intesa Sanpaolo, anche il cda di Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo ha dato in serata il via libera all’operazione: «Le nuove condizioni per l’Ops di Intesa Sanpaolo riconoscono il valore di Ubi Banca» si legge in una nota con cui il cda ha annunciato ieri sera la sua adesione, superando le riserve iniziali. Il cda e il consiglio generale della Fondazione hanno espresso «un forte apprezzamento per il lavoro svolto dal Presidente e dalla struttura» e hanno ritenuto all’unanimità che «questi nuovi valori di offerta rappresentino un riconoscimento del valore patrimoniale, organizzativo e commerciale di Ubi Banca».
Il consigliere delegato di Ubi, Victor Massiah, prima del rilancio aveva invece confermato il suo giudizio negativo, ribadendo la non adeguatezza della consistenza dell’offerta. «Il patrimonio tangibile di Ubi è di 8,5 miliardi e Intesa, in questo momento, ci pagherebbe 3,5 miliardi» aveva dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera, edizione di Bergamo. Nel caso in cui l’Ops naufragasse, restando sotto la soglia del 50%, Massiah avrebbe da giocare nel cassetto la carta m&a per rilanciare: «Non posso fare nomi per mille motivi - ha detto - ma, con la delega di fattibilità datami dal cda, è concretizzabile entro la fine dell’anno un’operazione industriale».
Ubi nella giornata di ieri è infine tornata sul via libera dell’antitrust all’operazione, al quale è legato il tema della cessione degli sportelli. L’Autorità, nel giudizio della banca bresciana, ha con la sua decisione «condiviso le preoccupazioni rappresentate da Ubi nel corso del procedimento secondo cui l’integrazione creerebbe una posizione dominante incompatibile con la disciplina antitrust. Inoltre - si legge in una nota - nel caso in cui l’ops non raggiungesse la soglia di adesione del 66,67%, Intesa non potrebbe garantire con certezza la dismissione degli sportelli di proprietà di Ubi».Per queste ragioni – scrive sempre Ubi - «l’Autorità ha imposto a Intesa di cedere oltre 500 sportelli e – diversamente da quanto proposto dalla stessa Intesa – ha espressamente precisato che, nel caso in cui non riesca a dismettere sportelli di proprietà di Ubi, Intesa sarà obbligata a cedere sportelli di sua proprietà». Questo significherebbe, nel giudizio di Ubi, che «gli obiettivi strategici dell’operazione annunciati non riflettono i possibili impatti connessi a misure alternative alla cessione degli sportelli di Ubi», perché qualora Intesa dovesse essere obbligata a cedere filiali di sua proprietà in luogo degli sportelli di Ubi oggetto dell’accordo con Bper, «la realizzazione dei target reddituali previsti da Intesa Sanpaolo potrebbe risultarne pregiudicata». A inizio della prossima settimana proprio il cda di Ubi tornerà a riunirsi per esaminare il rilancio.