Robinson, 18 luglio 2020
Riscoprire “La signora trasformata in volpe”
Certi racconti nascono perfetti. E rimangono perfetti dopo un secolo. Segno sicuro che avevano poco da spartire con il gusto dell’epoca: i vizietti che i lettori contemporanei neppure notano e agli occhi dei posteri appaiono ingigantiti – lo stesso meccanismo che invecchia le traduzioni, mentre l’originale resta giovane e bello.
Nel 1922 David Garnett aveva trent’anni. Tre anni prima aveva pubblicato, con lo pseudonimo di Leda Burke, il dimenticatissimo Dope Darling. A Story of Cocaine. Era la droga alla moda di inizio Novecento, la «sostanza magica» che Sigmund Freud aveva sperimentato e regalato alla fidanzata Marta. La signora trasformata in volpe fu molto premiato, piacque ai lettori di allora, piace ai lettori di oggi e sfugge a ogni tentativo di classificazione.
Metamorfosi se ne trovano parecchie, nei libri. Angosciose o fantastiche. Nessuna come questa, secondo David Garnett «comprovata da decine di testimoni tutti rispettabili». Il primo della lista è Mr Tebrick, a passeggio su una collina dell’Oxfordshire con la moglie Silvia – sappiamo la data, è il primo gennaio 1880, senza gli antipatici asterischi dietro cui il narratore di bizzarrie tende a nascondersi. E qui succede: «Dove un istante prima si trovava sua moglie, adesso c’era una piccola volpe di un color rosso acceso». Una sostituzione che ricorda i trucchi del cinema muto.
Mr Tebrick ricorda di aver sentito un grido. Il lettore ne sentirà un altro nelle ultime pagine, a chiudere una storia terribile raccontata con toni da salotto inglese. Diventata volpe, riportata a casa dal marito che dopo un anno di matrimonio ancora si comporta da innamorato, la signora Tebrick cerca di infilarsi una vestaglia, per pudore vittoriano.
La servitù viene licenziata, restano soli in casa. Mr Tebrick scopre che le volpi sono ghiotte di uva, e l’aggiunge alla solita colazione. Prendono il tè, e vorrebbe leggerle qualcosa, come ai vecchi tempi. Riprende in mano Clarissa di Samuel Richardson, al punto in cui l’avevano interrotto. Va avanti per mezz’ora prima di accorgersi che la signora volpe non è interessata alle peripezie di Clarissa Harlowe. Sta fissando una colomba che la coppia teneva in gabbia, nel salotto.
Scopriamo che Mrs Tebrick prima di sposarsi si chiamava Fox. «Ed era sempre stata un po’ selvaggia, anche se solo il marito avrebbe potuto rendersene conto», aggiunge il narratore. La malizia, ben dosata da David Garnett, finisce qui, scongiurando ogni interpretazione in chiave di femminismo o repressione vittoriana. La storia ha un suo fantastico equilibrio, rovinarla è un delitto contro la letteratura. Chi cerca pretesti per dibattere alcune scottanti questioni contemporanee ha tanti brutti romanzi da fare a pezzi.
Vale lo stesso per chi, attratto dal titolo, pensa di regalare il libro agli amici degli animali. Non fatelo. Non possiamo svelare perché, ma davvero è meglio di no. Né troverete in David Garnett una volpe riflessiva, come quella che filosofeggia nel Piccolo principe di Saint-Exupéry: non sono addomesticata, se mi addomestichi piangerò quando dovremo separarci, però ricorda che l’essenziale è invisibile agli occhi – e altre frasi che finiscono sulle magliette.
Due anni dopo La signora trasformata in volpe David Garnett scrisse Un uomo allo zoo (Adelphi, nel lontano 1993). Un coppia di fidanzati litiga, lei gli dice «miserabile babbuino», lui si offre volontario come darwiniano anello mancante, con una lettera alla Società Zoologica. Proposta accettata: lo chiudono in gabbia, con la scritta” homo sapiens” e sotto l’avvertimento: «Si prega di non irritare l’uomo con commenti personali». Di certo i signori Tebrick erano una coppia più solida, capace di affrontare inimmaginabili circostanze avverse. Silvia «era sempre stata sincera, aperta e candida, come se non fossero marito e moglie, e neanche due individui di sesso opposto».
Dietro l’osservazione si indovina un mondo. E La signora trasformata in volpe finisce per somigliare al ritratto di un singolare matrimonio. Più delle teorie, aiutano i pettegolezzi. I disegni di volpi e volpacchiotti che illustrano l’edizione Adelphi sono firmati R. A. Garnett, la prima moglie dello scrittore. Il racconto ( un centinaio di pagine, stampate in grande) è dedicato al pittore Duncan Grant, che di David Garnett fu amante. Siamo a Bloomsbury, tra tutti i movimenti letterari il più promiscuo ( e del resto fino all’altro ieri era obbligatorio, per artisti e scrittori, spassarsela senza freni).
La seconda signora Garnett si chiamava Angelica Bell. Era figlia di Vanessa Bell ( la sorella di Virginia Woolf: nascono Stephen, entrambe sono note con i nomi dei mariti) e giustappunto di Duncan Grant. Aveva 26 anni meno del consorte, nel 1985 intitolò le sue memorie, Ingannata con dolcezza ( con il senno di poi, stava iniziando la cultura del piagnisteo). Costance Garnett – la madre di David Garnett – aveva tradotto dal russo una settantina di romanzi. Vladimir Nabokov la odiava: nelle versioni firmate dall’instancabile signora «non si distingue Tolstoj da Dostoevskij».