la Repubblica, 18 luglio 2020
Si ritira la signora delle rose
CERVARESE SANTA CROCE (PADOVA) — La signora delle rose ha le mani rovinate dal lavoro, infatti si definisce «una contadina», invece della signora che è. Fosse tutto normale, adesso sarebbe nel campo a innestare, perché questo è un lavoro che si fa nella settimana più calda dell’estate. Adesso, ad esempio. Ma il campo è vuoto, Anna Maria Sgarabottolo ha rinunciato alla sua missione, un po’ anche alla sua vita. Per trenta anni ha coltivato, solo rose, e solo rose antiche, è diventata il riferimento dei collezionisti di tutta Europa, poi ha detto basta. Una volta un cliente è arrivato qui nel vivaio, un posto famoso, anche se perso nella campagna tra le province di Padova e Vicenza, e le ha detto: "Dàme un rosaro “. Un rosaio qualunque, detto in dialetto, ma il problema non era la lingua, il problema era che alla gente importa di comprare «qualcosa che copra e fiorisca tanto», cosa sia poi, non importa. Invece è una questione di cultura, che passa attraverso la fatica di chi studia, preserva, mantiene vive le specie introvabili. Al vivaio La Campanella arrivavano signore da Torino e Milano, da Roma e dall’Inghilterra, dedite al giardinaggio come religione, compravano varietà speciali, oppure trovavano Anna Maria al castello di Masino, in Piemonte, dove c’erano rassegne importanti, e così la Crépuscule, rampicante e vigorosa, rustica, rifiorente e facile da coltivare, viaggiava nei giardini con il suoi fiori doppi color albicocca, o la Félicité Parmentier, categoria “Alba”, anno 1834, una delle più vecchie quindi, «un colore meraviglioso, rosa pallido, e un profumo di testa che sale al cervello», e Anna Maria fa il gesto, così, «su per il naso», una cosa che inebria, «nessuna rosa moderna ha quei profumi».
Sia chiaro: si è signori nell’anima, anche se non nel portafoglio, se si sa apprezzare una Rose du Maître d’École, dal color magenta (e bisogna sapere quale è, il colore magenta), anno 1840, fiori piatti e quartati, tra i più grandi di tutte le Gallica. Sapere anche che si pensava fosse dedicata a un maestro di scuola, invece il nome arriva da un villaggio vicino ad Angers. «Ho sempre studiato, ricercato, coltivato», Anna Maria lo dice nella casa vecchia, «in questa cucina io ci sono nata», poi è andata alla scuola agraria di Padova e ha trovato «il mio maestro giardiniere, Egidio Cristofanon. Lui mi ha insegnato a potare le rose, a fare una collezione di storiche». C’è stato anche dell’altro, «era morto di leucemia mio fratello più piccolo, ero in crisi, poi un giorno sono passata su una strada, in questa campagna, c’erano dei cespugli di rosa canina…». Da allora, «ho lavorato tanto, ma tanto», perché ha sempre fatto la produzione, e la vendita. Altri invece «comprano e rivendono». È un mestiere diverso, «per me il commerciale non esiste. Io sono una vera collezionista, ma sono anche una semplice contadina, e mi sono stancata. Ho la mia storia, però finisce qui». Molti clienti (3 mila, tra Italia, Francia, Germania, Svezia, Svizzera…) hanno pianto e scritto sulla pagina Facebook (7 mila fan), pensando che la collezione di 1400 rose tra Gallica, Centifolia e Damasco, vada dispersa (peraltro finisce in parte in un nuovo vivaio tenuto dall’allieva Cristina). Chi resta a tenere alto il livello, una volta chiusa La Campanella? «In Italia, Sergio Scudu, del vivaio S’Orrosa ad Ardea, fa rose tè e cinesi. E il belga Lens, rose antiche e anche botaniche».
Intanto si può passeggiare nel grande roseto, che resterà visitabile ai veri appassionati. E passare attraverso il tunnel delle sarmentose, la fioritura è quasi tutta finita, resistono nel caldo alcune canine, e penduline, intanto lei racconta la storia di Joséphine De Beauharnais, poi imperatrice, che assunse alla Malmaison ibridatori e botanici, giardinieri come il Bonpland, e ne ottenne «rose doppie e stradoppie». Spiega che un tempo non esistevano rose rosse o gialle, ma solo bianche o rosa, poi arrivò in Europa la Foetida persiana a metà Ottocento (gialla), e la Chinensis mutabilis, nel 1873, «che porta il fiore rosso». A chi interessano queste cose? Beh, a molti. «Ad esempio a Pia Pera, che ho molto ammirato e purtroppo è morta», sicuramente sapeva apprezzare le Charles de Mills (1786), cremisi-porpora, così ricca di petali da sembrare una peonia. A quelli che partono da una pianta presa al supermercato, poi comincia una storia diversa, e si va a caccia di rarità. «Bisogna volergli bene, alle rose. Anche perché ognuna ha il suo carattere», dice Anna Maria. Romano Levi, «grappaiolo angelico» di Nèive, l’avrebbe definita una donna selvatica, per raccontarne il carattere brusco ma anche gentile, una donna in maglietta stinta e pantaloni corti, corti anche i capelli, con le mani vuote perché non ha più granché da fare. Però sapiente, «io riconosco le rose dalle spine», non è da tutti.