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 2020  luglio 17 Venerdì calendario

Nel 2100 saremo 9 miliardi

Con una costanza che definirei sistematica, ogni 5-10 anni vengono pubblicati studi, più o meno seri, che certificano come le nostre preoccupazioni rispetto al riscaldamento globale, alla fine delle risorse o all’impoverimento della biodiversità non debbano essere ritenute vere perché, a ben guardare, stiamo molto meglio di quanto pensavamo. Naturalmente la cosa ci farebbe molto piacere: potremmo finalmente dedicarci allo sviluppo dell’intero pianeta che abbiamo trascurato per incagliarci nelle secche del clima o delle estinzioni di massa. Purtroppo le cose non stanno così e, nella maggior parte dei casi, si tratta di valutazioni di economisti o ingegneri che poco o nulla sanno di scienze della natura e della Terra. Che, alla fine, si traducono in differenze di grado, non di genere. Vale così anche per i recentissimi studi demografici (prodotti dall’Institute for Health Metrics and Evaluation della Washington University e pubblicati su «Lancet») che ipotizzano un incremento di popolazione dei sapiens inferiore a quello previsto dall’Onu (10,8 miliardi), e una sua stabilizzazione a circa nove miliardi di individui entro il 2100 (precisamente 8,7). Il declino della fertilità femminile, grazie a educazione diffusa e contraccezione, sarebbe il fattore determinante.
Per la verità, fino ad oggi, gli studiosi più seri della questione avevano sempre messo in luce tre possibilità nel prossimo futuro: che la popolazione incrementasse fino a dieci miliardi di sapiens entro la fine del secolo, che rimanesse più o meno stabile (curva piatta) o che potesse addirittura diminuire. Nessuno aveva dunque sostenuto che l’incremento sarebbe stato esponenziale tout court. Ciò che conta, più che il numero globale di omini (che pure pesa) è il tasso di incremento e le regioni dove questo tasso è più alto. A questo riguardo, il tasso di incremento è ancora alto e tutto ciò avviene nella parte di mondo meno pronta a sostenerlo, tanto che, se Giappone e Italia potrebbero vedere ridotta del 50% la propria popolazione, la Nigeria diventerebbe il terzo Paese più popoloso del mondo, con quasi 800 milioni di abitanti. È vero che l’incremento demografico umano ha rallentato all’inizio del terzo millennio, ma è altrettanto vero che la crescita assoluta rimane elevata: nel 2000 c’erano già tre miliardi di persone in più che nel 1960, e nel Terzo Mondo (dove ci sono i 4/5 della popolazione mondiale) la crescita continua quasi inalterata. 
Ma il vero problema, quello sempre trascurato, è che la Terra effettivamente abitabile è già più che sovraffollata. Cosa si intende per effettivamente abitabile? Facciamo un esempio. L’Egitto ha attualmente una densità di popolazione di 100 abitanti/kmq (la metà dell’Italia), ma se si prende in considerazione, più correttamente, il rapporto popolazione totale/superficie utile, cioè se si escludono le aree inadatte alla vita e agli usi umani, si dovrebbe parlare di 2.000 abitanti/kmq, un numero incredibile. Non è solo un problema asiatico: a Portici (vicino Napoli) si arriva allegramente a 70.000 abitanti su 4 kmq. Il concetto di densità di popolazione che ci avevano insegnato a scuola (popolazione totale/superficie totale) è fondamentalmente fuorviante, e ultimamente ha decisamente perso di senso.
Al di là dunque di aggiustamenti di grado, il problema è che una specie così prepotente come quella dei sapiens ha già superato i suoi limiti demografici. Quando la pressione demografica di una specie diventa così insopportabile, in natura, si aprono tre possibilità: o parte della specie migra, o si adatta alle nuove condizioni ambientali, o l’intera specie si estingue. L’uomo no. L’uomo modifica l’ambiente attorno a sé sperando di sondare nuove possibilità. Impossibili, però, in un pianeta limitato per definizione. La Terra ha una superficie di 510 milioni di kmq: è, cioè, misurabile, dunque finita. Che si tratti di diamanti, oro oppure rame, che si tratti di pesce o carne, di petrolio o gas, tutto sul pianeta è soggetto a finire. A maggior ragione se gli uomini crescono di numero e di esigenze. Dunque se tutti i sapiens volessero avere il livello di sviluppo (o di spreco) dei nordamericani, già ora ci vorrebbero altri due pianeti. Che non abbiamo. Facciamo un esempio.
Se tutti gli abitanti della Cina volessero consumare lo stesso quantitativo di carne che mangiano quelli degli Stati Uniti, avrebbero bisogno di 49 milioni di tonnellate di carne all’anno, che significa 343 milioni di tonnellate di cereali all’anno sotto forma di carne: una cifra spaventosa che la Terra non può dare. Se, invece, volessero improvvisamente diventare consumatori di pesce come i giapponesi, avrebbero bisogno di 100 milioni di tonnellate di pescato, cioè quasi tutto quello che si cattura oggi. Già oggi non c’è più spazio, cibo, acqua per tutti. Solo che noi ricchi occidentali campiamo letteralmente sul fatto che i bisogni degli altri sono compressi rispetto ai nostri. In altro campo, a noi è consentito emettere quantità di anidride carbonica che non sarebbero permesse, se tutti gli altri non ne emettessero molta meno della media: in pratica noi respiriamo meglio perché gli altri respirano appena.
Ma quante persone può sopportare la Terra? Già che si sia arrivati ad accettare l’idea che possa essere un numero limitato si può considerare un successo culturale. Ma quel numero dipende dalla qualità della vita che si vuole avere. E in ogni caso sembra difficile che il pianeta possa sostentare più di un paio di miliardi di persone, al livello di consumi di oggi. Che 10 o 8 miliardi siano troppi, però, non viene preso in considerazione e anzi, qualcuno sostiene che lo sviluppo economico mondiale risolverà ogni problema. Purtroppo uno sviluppo infinito non è possibile, come non lo è una crescita continua e senza soste del Pil: l’economia è piuttosto un sottosistema della biosfera e quando l’espansione economica attacca le basi naturali dell’ecosistema, si sacrifica un capitale naturale che ha un valore superiore a quello che si ottiene. Si tratta, in ultima analisi, di una crescita che impoverisce invece di arricchire, quasi un’anti-economia, da cui qualcuno può trarre vantaggi, ma per cui tutti gli altri entrano inevitabilmente in sofferenza. Qualsiasi scenario si verifichi nei prossimi anni, i sapiens saranno comunque già troppi.