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 2020  luglio 16 Giovedì calendario

Intervista a Melinda Gates

La mancanza di leadership per gestire la pandemia di Covid ha provocato «molte morti non necessarie», negli Usa e altrove, che forse si sarebbero evitate se i governi fossero stati guidati da donne. Chi sottolinea questa evidenza è Melinda Gates, copresidente della Bill & Melinda Gates Foundation, durante una conversazione con tre giornali internazionali fra cui La Stampa.
L’occasione del colloquio è la pubblicazione su Foreign Affairs del paper «The Pandemic’s Toll on Women», in cui Melinda approfondisce l’impatto negativo sproporzionato del virus sulle donne: 15 milioni di gravidanze non pianificate; tagli all’assistenza per la maternità che minacciano la vita di 113.000 madri; gli effetti sugli operatori sanitari, che per il 70% sono donne; l’impiego, che le donne perdono 1,8 volte in più degli uomini; il lavoro femminile non pagato, aumentato con le scuole chiuse; violenze e abusi domestici; il blocco dell’istruzione per troppe giovani. Senza interventi mirati, ad esempio per l’inclusione digitale e finanziaria delle donne, i danni costeranno 5 trilioni di dollari al Pil mondale entro il 2030.
«Questo documento è nato perché parlando con i leader mondiali ho visto l’impatto della pandemia sulle vite e sull’economia. Se risponderemo usando i vecchi metodi, la strada della ripresa sarà lunga e faticosa. Chi invece guarderà le fratture sociali esposte dalla pandemia, e investirà dove si può avviare il cambiamento, aiuterà i Paesi a recuperare molto più velocemente. Ho scritto il paper con quattro punti in mente: primo, dobbiamo investire nel sistema sanitario e studiare gli effetti sproporzionati della malattia sulla popolazione femminile; secondo, intervenire nei settori economici che aiutano le donne, come i servizi finanziari di telefonia mobile, per far arrivare pagamenti in contante a chi ne ha davvero bisogno; terzo, usare i dati e la conoscenza degli esperti per compiere le scelte migliori; quarto, puntare sulla leadership femminile a livello di base e ai massimi livelli. Quando le donne sono al tavolo, possiamo ricostruire la nostre società e le nostre economie meglio e più rapidamente».
I Paesi che hanno gestito bene l’epidemia, tipo Germania, Nuova Zelanda, Taiwan, Danimarca, sono guidati da donne; i peggiori, a partire dagli Usa, da uomini. È solo una coincidenza?
«Stiamo vedendo la differenza che fa la leadership femminile. Ci sono grandi leader uomini che fanno le cose giuste, ma le donne portano un visione diversa e hanno più attenzione per l’intera società. Ho parlato con Jacinda Ardern quando la Nuova Zelanda aveva zero casi, ma lei si preoccupava di garantire la sicurezza agli altri Stati insulari vicini. La cancelliera Merkel, invece dei suoi successi, mi ha parlato degli sforzi per raggiungere le persone più emarginate. Ho sentito anche uomini molto impegnati come Trudeau, che in Canada ha investito per contrastare le violenze domestiche, o Ramaphosa, che in Sudafrica si è mobilitato per garantire alle donne non solo un letto e un tetto, ma anche servizi legali e psicologici. Tutto ciò però dimostra perché abbiamo bisogno di leadership femminile».
Questi Paesi hanno avuto successo grazie alle donne, o perché sono ricchi e possiedono sistemi sanitari e sociali avanzati?
«Entrambe le cose sono importanti. Se sei un Paese ricco, e fai le cose giuste, la soluzione è più facile. Però ci sono Paesi, e il mio è un buon esempio, dove se non hai una leadership al massimo livello impegnata a guardare le fratture, le discriminazioni sociali, le disparità di genere, non importa quanto sei ricco, avrai comunque molte morti non necessarie».
Quali obiettivi dovrebbe avere una politica estera femminista?
«Poniamoci alcune domande: dove bisogna investire per aiutare le donne, che poi promuovono le loro famiglie e la società? Quali sono le barriere che le frenano? Il mio paper propone quattro aree, sanità, economia, dati e leadership femminile, ma uno degli ostacoli più grandi è la violenza domestica: come possiamo ridurla? In Francia hanno un programma per garantire un tetto alle donne, che devono lasciare le case dove subiscono violenze. Quando hanno le risorse economiche in mano, ad esempio con i versamenti sui portafogli mobili, e non sono vittime di violenze, vedi come cresce il loro potere nelle famiglie, come investono nelle imprese e nei figli, come fanno crescere la società».
Ne ha parlato col presidente Trump o la sua amministrazione?
«Bill e io abbiamo avuto molte conversazioni con tutti i livelli della leadership negli Usa. Il nostro focus è stato spingerli a guardare quanto stanno facendo i Paesi esemplari, cioè test, tracciatura dei contatti, isolamento, quarantena, raccomandare le maschere. Ciò richiede leadership ad ogni livello del governo, ma comincia dal più alto, e poi scende verso gli Stati».
Non c’è il rischio di una lotta per distribuire vaccini e cure?
«È esattamente la conversazione che Bill e io stiamo avendo con i leader europei, il Congresso, l’amministrazione. Per fortuna esistono diversi meccanismi, come l’alleanza per i vaccini Gavi, la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations, il Global Fund. L’Europa è stata molto attiva e impegnata. Ora lavoriamo sugli Usa, affinché facciano passi in avanti».
Nel paper lei parla della pianificazione familiare, e nel suo libro «The Moment of Lift» aveva criticato l’amministrazione Trump perché sta tagliando i fondi. Quali sono i danni di lungo termine?
«Dobbiamo investire nella pianificazione famigliare. Deve essere volontaria, ma le donne devono capire come funzionano i propri corpi e prendere le decisioni. Quando una madre non può stabilire i tempi delle nascite, resta imprigionata in un ciclo di povertà. L’effetto di lungo termine del taglio dei finanziamenti ai servizi di salute riproduttiva è profondo nella società, e i danni si sentono poi per un periodo compreso tra 20 e 40 anni».
Il fatto che lei sia ricca è stato usato contro di lei?
«Tutti abbiamo critici, fa parte della vita. C’è stata un po’ di disinformazione, su di noi e sulla Foundation, e ciò è deludente. Però restiamo concentrati su ciò che serve alle famiglie per la loro sicurezza, ossia i fatti e i consigli degli esperti». 
È giusto riaprire le scuole?
«È una decisione che compete ai leader locali, sulla base dei dati. Bisogna valutare che impatto ha sugli anziani, su chi cura i bambini. La pandemia, ad esempio, ha evidenziato che le nostre economie si reggono sul lavoro extra non pagato che le donne fanno a casa. Perciò servono leader capaci di guardare a queste fratture. Se continueremo ad usare i vecchi modelli, la ripresa sarà lunga e lenta, in tutto il mondo».