La Stampa, 16 luglio 2020
L’Italia che vive con 4 euro l’ora
È l’Italia che vive con 4 euro l’ora. Sottopagati, sfruttati, spesso precari e senza tutele, esclusi dagli ammortizzatori d’emergenza attivati dal governo dopo la crisi covid. Sono operatori dei call center, stagionali del turismo, camerieri, assistenti in cucina, lavoratori della cultura, della sanità. Un esercito di 4 milioni di persone senza protezioni che già prima della pandemia stentavano ad arrivare a fine mese. Costrette ad accettare una paga da fame perché è l’unica entrata e seppur bassa è sempre meglio «che perdere il lavoro», come ha raccontato questo giornale ieri con la storia di Taranto.
I call center "outbound", quelli che telefonano a casa per vendere prodotti, impiegano 20 mila collaboratori regolari che da contratto percepiscono un salario di 8 euro l’ora. Ma ce ne sono altrettanti che prendono la metà. Il segretario nazionale della Slc Cgil, Riccardo Saccone, spiega: «E’ un mondo dove c’è molto sommerso, caratterizzato da gare al massimo ribasso. Spesso sono gli stessi rivenditori che lavorano per i colossi delle tlc a mettere in piedi piccoli servizi semi-clandestini nei sottoscala, dove si procacciano gli affari all’oscuro del committente». Con la progressiva riduzione dell’industria manifatturiera e la desertificazione delle attività «il bisogno ha creato dei mostri.
Paradossalmente i call center hanno fatto da ammortizzatori sociali. Quando a cinquant’anni vieni buttato fuori dal ciclo produttivo, le opzioni che ti si presentano sono queste: senza essere formato, cominci subito a lavorare e un piccolo reddito arriva», spiega amareggiato il sindacalista di Corso Italia.
Abusi e forme di illegalità allignano anche nel settore del commercio, della ristorazione e colpiscono i 450 mila stagionali del turismo. Stefano Franzoni, segretario nazionale della Uiltucs, illustra quella che è ormai una prassi, in Romagna come in Alto Adige: «Assunzioni con contratti fantasiosi a forfait, 12 ore al giorno tutti i giorni e senza riposi. La retribuzione oraria dovuta sarebbe intorno agli 11 euro, ma così arrivano a 6-7 euro lordi. Il 30 per cento delle vertenze riguarda gente in nero o assunti part-time che invece lavorano a tempo pieno. Purtroppo chi ha la necessità di sbarcare il lunario deve accettare condizioni di questo tipo che sono peraltro facilitate dalla carenza dei controlli. Le aziende affrontano con grande tranquillità le sanzioni, perché le situazioni di irregolarità sono così diffuse che consentono loro di risparmiare».
Emblema dei lavoretti "a cottimo", malpagati e figli di una modernità senza diritti, sono diventati loro malgrado i rider. Figli della gig economy sono stati sulle prime pagine per mesi, ma ancora aspettano un contratto nazionale. Ormai sono quasi in 30 mila a sfrecciare con bici e motorini nelle strade delle città italiane. In media guadagnano 3 euro e 20 centesimi lordi a consegna e nell’arco di un’ora di pacchi o pizze riescono a recapitarne due o tre. «Noi abbiamo sollecitato più volte Assodelivery, l’associazione delle piattaforme, ad aprire un confronto però siamo fermi e oggi i fattorini sono in gran parte esclusi dalle forme di sostegno al reddito», sottolinea Andrea Borghesi, segretario generale Nidil Cgil.
Si rischia di creare una nuova schiera di poveri e una crisi sociale in autunno. Proprio Nidil, insieme a Cisl e Uil, stima che almeno 500 mila persone a ottobre potrebbero restare senza alcun reddito. Si tratta dei collaboratori occasionali, dei somministrati provenienti dalle agenzie interinali, degli atipici, delle partite Iva con redditi inferiori ai 5 mila euro. Tra loro ci sono 12 mila "eroi di serie B", persone con rapporti temporanei che operano nel comparto della sanità pubblica e lo hanno fatto anche durante la fase acuta del virus. Con loro i sindacati manifesteranno il 24 luglio davanti al ministero della Salute.