Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  luglio 16 Giovedì calendario

L’inganno degli Emirati: il lavoro era la guerra libica

Mentre l’Europa è impegnata a salvare se stessa dal coronavirus, dall’altra parte del Mediterraneo, in Libia, la guerra infuria e continua a coinvolgere anche i paesi limitrofi. È il caso del Sudan. Da giorni, centinaia di sudanesi protestano fuori dall’ambasciata degli Emirati Arabi Uniti a Khartum, la capitale. Il motivo è la campagna di reclutamento in corso tra i giovani per combattere con le milizie del comandante libico Khalifa Haftar, da un mese costretto alla ritirata dalla Tripolitania dopo la rimonta delle forze del Governo di Accordo Nazionale (Gna) guidato da Fayez al-Sarraj, e riconosciuto dall’Onu, attualmente impegnate a riconquistare Sirte. La città in cui venne assassinato Gheddafi è considerata la linea rossa per i principali sostenitori di Haftar: Russia, Egitto ed Emirati Arabi. Per vincere questa battaglia cruciale, Haftar e i suoi sodali, Francia compresa nonostante il diniego, devono giocarsi il tutto per tutto.
Da qui il tentativo di reclutare quanti più miliziani possibile per rinforzare l’Esercito Nazionale Libico (Lna), il nome dato da Haftar al puzzle di mercenari che combattono per la sua affermazione come unico rais della nostra ex colonia distrutta da 9 anni di conflitto. La scorsa settimana il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, aveva denunciato “interferenze senza precedenti di attori stranieri nel conflitto libico” dove sono in ballo soprattutto lo sfruttamento dei ricchi pozzi petroliferi e di gas, finora gestiti dalla italiana Eni, situati proprio nella zona orientale della Libia, la Cirenaica, roccaforte di Haftar. I manifestanti sudanesi chiedono “scuse e risarcimenti” alle autorità degli Emirati Arabi Uniti per essere stati ingannati dalla compagnia di sicurezza privata degli Emirati, la Black Shield Security Services che li costringe a prestare servizio nelle milizie di Haftar anziché di svolgere il lavoro di normali guardie di sicurezza secondo il contratto farlocco con cui sono stati cooptati.
“Pretendiamo le scuse degli Emirati Arabi Uniti nei confronti del popolo sudanese perché non siamo mercenari”, ha dichiarato Abu Alma Ali Hamza Taha. Ahmad Babakr, un altro manifestante, ha minacciato di portare la questione alle Nazioni Unite e ai gruppi per i diritti umani “se l’ambasciata degli Emirati Arabi Uniti non risponderà alle nostre richieste”. La Black Shield Security Services ha subito negato le accuse di mentire a cittadini sudanesi sulla natura del loro lavoro previsto in Libia. Gli Emirati Arabi Uniti sono stati accusati dalle Nazioni Unite e dalle organizzazioni per i diritti umani di aver infranto l’embargo sulle armi, stabilito per l’appunto dall’Onu, in Libia inviando armi, aerei e mercenari per imporre il comando dell’uomo forte della Cirenaica in tutto il paese. Un rapporto delle Nazioni Unite dello scorso ottobre ha documentato che migliaia di sudanesi stavano combattendo a fianco dell’Lna. Il reclutamento più significativo è avvenuto in concomitanza con l’arrivo dei miliziani siriani pro-Turchia, istruttori e armi turche, pagati e inviati da Ankara per rianimare Sarraj di cui il presidente turco è il più strenuo alleato.
Le autorità sudanesi già lo scorso giugno avevano arrestato più di 100 cittadini che erano destinati a recarsi in Libia per combattere. L’agenzia di stampa statale Suna ha citato il brigadiere Jamal Jumaa, portavoce delle forze di reazione rapida, affermando che “le forze di sicurezza congiunte hanno arrestato 122 fuorilegge, tra cui otto bambini, che si stavano dirigendo per combattere come mercenari in Libia”. Suna ha anche pubblicato un video che mostra dozzine di giovani seduti a terra, circondati da veicoli militari che trasportavano soldati armati di fucili d’assalto. Nel 2019, un rapporto delle Nazioni Unite aveva già denunciato che migliaia di miliziani sudanesi erano di stanza nella città libica orientale di Bengasi, quartier generale di Haftar. I paramilitari allora erano stati schierati per proteggere le infrastrutture petrolifere. Martedì scorso gli Emirati Arabi Uniti hanno lanciato un avvertimento implicito alle forze del Gna che avanzano su Sirte. “I tamburi della battaglia intorno a Sirte minacciano gravi sviluppi e pericolose conseguenze umanitarie e politiche”, ha twittato Anwar Gargash, ministro di Stato per gli affari esteri. Sirte è per ora ben difesa dai mercenari pro-Haftar, tra cui i russi della compagnia di sicurezza privata Wagner, vicina al Cremlino, e dai siriani lealisti del presidente Assad con il supporto logistico degli Emirati Arabi Uniti che nella loro ritirata dalla Tripolitania hanno cosparso le campagne e le città di mine.