la Repubblica, 16 luglio 2020
Torna lo Stato padrone
L’aereo ce l’abbiamo. Anzi, meglio, ce lo siamo ricomprato. Le autostrade, tempo qualche settimana, e torneranno nostre. Per riprenderci l’acciaio, a naso, c’è solo da aspettare qualche mese. La pandemia sta ridisegnando la mappa del potere tricolore. E l’Italia Spa, messa in ginocchio da un pil in calo a due cifre, festeggia il ritorno di una vecchia e rassicurante conoscenza: lo stato-padrone.
La presenza discreta del denaro pubblico nell’economia del paese, a dire il vero, non è mai venuta meno. Tesoro e Cdp hanno partecipazioni in Borsa per quasi 50 miliardi e tra Eni, Enel, Terna, Poste & C. controllano il 30% di Piazza Affari, in teoria il tempio del capitalismo privato. L’emergenza-Covid ha però rimescolato le carte: migliaia di imprese sono in crisi, i capitali privati latitano, i cerberi della Ue – visti i chiari di luna – hanno deciso di chiudere un occhio (e a volte due) sugli aiuti di stato. E il governo Pd-5Stelle – nemmeno troppo controvoglia – è sceso in campo con il portafoglio in mano in una partita dove – malgrado l’ira di Confindustria e i debiti che si accumulano gioca nel ruolo di regista, attore, arbitro e bancomat.
L’epoca in cui anche panettoni e Buondì Motta erano beni pubblici in eterno rosso, per fortuna, è ancora lontana. La nazionalizzazione di Autostrade per l’Italia – dicono gli ottimisti – trasformerà la macchina da soldi che per 21 anni ha foraggiato i Benetton nella gallina dalle uova d’oro delle casse statali. Speriamo. Di sicuro, però, è l’ultimo tassello di un progetto che ha ben poco di improvvisato: Alitalia è tornata nelle mani del Tesoro, pronto con un atto di fede (per salvare 11mila posti di lavoro) a mettere 3 miliardi in una società che ha già andato in fumo 11 miliardi dei contribuenti. Il paravento del coronavirus sommato ai soldi del recovery- fund potrebbe servire al governo per risolvere un altro problema ben più antico del Covid: l’Ilva, candidata a una costosa riconversione all’acciaio pulito che – viste le richieste di tagli di Arcelor Mittal – potrebbe vedere la politica al timone e nei panni di Pantalone.
I soldi spesi per il salvataggio (si spera) di aziende decotte da anni non sono l’unico termometro utile per misurare il protagonismo dello stato-padrone. Il soft-power – nemmeno troppo soft – del governo Conte ha molti altri volti. E in qualche caso l’aspetto un po’ paradossale di una lobby al contrario, con il pubblico in pressing sul privato per “sponsorizzare”, legittimamente, i propri interessi e quelli – almeno in teoria – dei cittadini. Un esempio? La vigorosa operazione di moral suasion su Enel e Telecom – partecipate da Tesoro e Cdp – per arrivare a un accordo sulla rete unica a banda larga. Oppure la battaglia sotterranea per riportare in Italia il controllo di Piazza Affari e, soprattutto, del delicatissimo mercato dei titoli di Stato. O l’allargamento del golden power al settore alimentare e ad altre aree di interesse nazionale. Una mossa che ha consentito al governo di dire la sua sull’Opa dei giapponesi su Molmed e su quella del fondo pensione degli insegnanti dell’Ontario su Rsa security.
Anche i profeti delle privatizzazioni, di fronte all’emergenza sanitaria, hanno abbassato un po’ la guardia: «Non credo sia utile creare una grande impresa pubblica ha ribadito a “La Repubblica delle Idee” Romano Prodi, ex presidente dell’Iri che a metà anni ’90 ha venduto asset nazionali strategici come pelati e surgelati – ma l’intervento statale per riorganizzare l’economia è fondamentale. Servono un aiuto e una presenza per rivitalizzare le filiere, incentivando le piccole e medie imprese a fondersi per aumentare la produttività». L’esempio, dice Prodi, è la Francia. Che negli ultimi giorni, per dire, si è detta pronta a comprare 10mila piccoli negozi in difficoltà nei centri storici per salvarli dalla crisi e dall’e-commerce e riaffittarli ad artigiani e bottegai. L’Italia, liberata pro tempore dai lacciuoli dei parametri di Maastricht, sta affrontando questa era di nazionalizzazioni senza badare a spese: ha messo a disposizione della Cdp una sorta di fondo sovrano con 44 miliardi di patrimonio teorico per aiutare – anche comprando azioni – le imprese in difficoltà. Cdp equity ha puntellato (con il 18% del capitale) Webuild, il nuovo polo tricolore delle costruzioni. Il rischio è che lo stato-padrone allarghi i suoi confini oltre i limiti sognati dai suoi fan più sfegatati: Garanzia Italia ha “assicurato” con soldi pubblici oltre 50 miliardi di prestiti ad aziende in difficoltà per il Covid. Cosa succederà se le società non potranno onorare i loro debiti? Il Tesoro potrebbe, nei casi più delicati e strategici, trasformarli in azioni. E alla fine, per cause di forza maggiore, gli italiani potrebbero ritrovarsi azionisti delle merendine di stato.