La Stampa, 15 luglio 2020
Gli squali rischiano l’estinzione
Il cattivo dei mari per eccellenza, sua maestà lo squalo, sta rischiando grosso: più della metà delle specie presenti nel Mediterraneo, 39 su 73, sono a rischio se non a forte rischio estinzione. Parliamo di tutti i pesci cartilaginei, dalle razze alle mante ai classici pescecani, che poi tanto pericolosi non sono, se si pensa che l’ultimo attacco a un essere umano nel «Mare Nostrum» risale al 1991, quando uno squalo addentò la tavola da surf di una bagnante a Santa Margherita Ligure.
In realtà, a doversi guardare di più dall’uomo e dalle sue attività sono proprio loro: in particolar modo lo spinarolo, lo smeriglio, il volpe, e poi lo squalo grigio, l’elefante, lo zigrino, la verdesca e il mako.
Fra le minacce più insidiose c’è la pesca accidentale, cioè i pescecani che restano impigliati nelle reti a strascico oppure appesi agli ami dei palangari, le attrezzature usate per la caccia a tonni e pescespada. Uno studio della Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli ha accertato che l’88% dei pescatori intervistati pesca regolarmente degli squali, nel 75% dei casi ancora vivi. Pesci che vengono ributtati in mare o che finiscono fra gli scarti, visto che la loro carne, almeno nei nostri lidi, non ha mercato. Da queste rilevazioni è nato il progetto internazionale Elife - budget da 3,3 miloni di euro, cofinanziato dall’Ue - che vede coinvolti dieci partner pubblici e privati (da Costa edutainment al Cnr, da Legambiente all’Università di Padova): l’obiettivo è coinvolgere i pescatori in modo che utilizzino un’attrezzatura meno dannosa per queste specie.
Le marinerie di Chioggia, Gallipoli, Lampedusa, Cirò Marina, Porto Cesareo, Sardegna nord-orientale, Marsala, Mazara del Vallo, Lampedusa, del Mar Egeo e di Cipro saranno dotate di strumenti capaci di ridurre le catture accidentali del 30%. L’altro obiettivo è arrivare almeno a dimezzare la mortalità degli esemplari, con azioni mirate per abbattere la cattura di squali grigi all’isolotto di Lampione (isole Pelagie) e di squali elefante nelle acque costiere del nord della Sardegna.
L’occasione per parlarne è stata la Giornata mondiale degli squali celebrata ieri, quando contenuti e finalità del progetto sono stati illustrati nel dettaglio. «I nemici principali di queste specie sono da un lato l’impoverimento degli habitat costieri e dall’altro la pesca - spiega Massimiliano Bottaro, coordinatore del progetto Elife e ricercatore della Stazione zoologica Anton Dohrn -: perché riduce le prede degli squali e perché, con le catture accidentali, si accanisce contro di loro». Un esempio per capire: i palangari per i pescespada sono funi lunghe un paio di chilometri cui sono legate lenze con grossi ami a forma di J. I pescecani che abboccano (ma accade anche a tartarughe e delfini) si feriscono mortalmente all’esofago e muoiono. «Noi proponiamo ai pescatori degli ami a C, che non siano letali - dice Bottaro -. Quanto alle reti a strascico, abbiamo pensato a un sistema già usato con successo con le tartarughe, cioè munire le reti di griglie per impedire l’ingresso di pesci di grossa taglia». Oltre all’attrezzatura, serviranno anche interventi formativi: «Alle centinaia di pescatori coinvolti forniremo le informazioni necessarie per adottare i comportamenti più adeguati - aggiunge Bottaro -. Si tratta di suggerimenti pratici su come ributtare lo squalo in mare senza che, nel frattempo, muoia sulla barca». E poi ci sarà una verifica sull’efficacia del progetto: «Su alcuni squali liberati saranno messi rilevatori satellitari che permetteranno di verificare la loro sopravvivenza dopo un certo periodo. Anche i pescatori saranno interpellati: lo scopo di Elife è garantire la conservazione della specie, ma senza nuocere alle attività economiche».