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 2020  luglio 15 Mercoledì calendario

Soldini: «Il mio strano giro del mondo»

«Sono atterrato alla grande», se la ride al timone. Giovanni Soldini è appena entrato nel porto di Mirabello, approdo finale del suo secondo giro del mondo in quattro anni, a bordo del trimarano Maserati Multi 70, letteralmente volato sulle onde di tutti i mari. Il capodoglio blu tatuato sull’avambraccio destro, spettinato, barbuto, bruciato dal sole. Stanco sì, però felice. «Pensavo di arrivare molto più tardi, magari in serata. C’era un bel po’ di vento traverso: a un certo punto, l’altra notte, siamo “decollati” a 30 nodi e passa». Librati sull’acqua: gabbiani. «Incredibile, bellissimo. Pazzesco. Questo è il futuro». Un’avventura quasi impossibile: tecnologia e coraggio, regate e record. Successi, forse un piccolo rimpianto perché si poteva fare addirittura di più. Soldini e il suo equipaggio: «Non ci hanno fermato le tempeste, solo la pandemia. Però, per poco». La Terra vista da un’altra prospettiva: «Non avete idea della rumenta, la sporcizia che galleggia nel Pacifico. Meglio il Mediterraneo, pure coi suoi problemi». Storia di un lunghissimo viaggio, di lotta, di speranza.
Era cominciato tutto nel 2016. Da allora, più di 80 mila miglia marine navigando da un capo all’altro del pianeta.
«Nei primi due anni, un giro del mondo. Poi un altro ancora. Senza fermarci mai. O meglio: le regate, quindi in ogni porto del mondo incontravamo gente che forse — devo ammetterlo — impazziva più per il marchio Maserati che per noi. E gli italiani, dappertutto: che geni, un peccato vederli costretti a creare altrove. Dal punto di vista umano e sportivo, esperienza straordinaria».
Il momento più bello?
«Tanti. Però il primato della Hong Kong-Londra è stato una vera goduria. Storico: 36 giorni, 2 ore, 37 minuti e 2 secondi. Lo abbiamo strappato per 5 giorni al Gitana di Rothschild, che era 10 metri più lungo e aveva il triplo del budget».
Il peggiore?
«Il Covid: anche per noi. A fine febbraio dalle Hawaii avevamo appena raggiunto Guadalupa, la barca smontata nel cantiere e ci stavamo lavorando sodo, quando ci hanno detto: basta, qui chiude tutto. Tornatevene a casa, ora».
Quarantena.
«Sì, però per uno che va per mare è due volte più complicato. Io sono tornato qui, vivo in provincia della Spezia con la mia famiglia. Quattro mesi ad occuparmi dell’orto».
Come un vero marinaio.
«Ho rimesso a posto tutte le cose che non funzionavano. Che bello. La lavatrice. E la Honda XL 125 comprata di seconda mano da mio figlio a 250 euro, ma senza forcelle. Ci siamo divertiti».
Non vedeva l’ora di tornare a navigare.
«Il 2 giugno abbiamo affittato un furgone per l’aeroporto di Roma, eravamo in quattro però dovevamo essere distanziati: mio nipote Matteo, da tempo parte dell’equipaggio; e mio figlio Gero. Mascherine, gel, termoscanner. Parigi, Martinica. Che impressione, per gente che vive sempre libera nel vento. Però è stato giusto così. E in tre giorni, siamo tornati alla barca: anche perché in Guadalupa si sono sbagliati, non ci hanno fatto fare la quarantena».
Venticinque giorni a carteggiare e pitturare la carena dell’imbarcazione, come un mozzo.
«Il primo luglio, partenza per l’Italia. È stato bellissimo. Liberatorio. Ho passato il Capo Corso all’alba, silenzio ed emozione alle lacrime: non ero mai stato così felice».
Maserati Multi70, la barca che vola.
«Una tecnologia straordinaria, e da domani (mi lasciate stasera il tempo di un paio di birre?), io ricomincio a lavorare, perché un giorno in mare e due in cantiere: con gli ingegneri del Maserati Lab stiamo collaborando per un futuro che potrebbe incidere su tutto, dalle barche alle auto».
Fino alla Formula Uno. Intanto, però: il mare.
«Cosa c’è di più libero? Nulla. Navigando, ho pensato alle esperienze di questi anni. Uno specchio».
Cioè?
«Non avete idea dell’inquinamento dei mari. Magari pensate al nostro Mediterraneo. Sì. Però il Pacifico, che è molto più grande, sta decisamente peggio. Ci si trova di tutto, e ti fa male dentro. Così, mi sono detto: forse il Covid non è arrivato per caso».
La natura è al limite.
«La natura si sta incazzando, lancia dei segnali perché stiamo facendo dei disastri pazzeschi. L’uomo deve ripensare al rapporto con la natura. La gente è sempre più sensibile al tema, ma ho paura che la reazione arrivi troppo tardi».
Ci vorrebbe un esempio.
«Le grandi nazioni che dovrebbero essere punti di riferimento, non sono capaci a trovare una risposta univoca al problema del Covid: figuriamoci a quello della plastica in mare o del riscaldamento globale».