Avvenire, 14 luglio 2020
La chat dell’orrore dei ragazzini
Tutti noi, che abbiamo figli o nipoti giovani o giovanissimi, non riusciamo a staccarci dalla notizia della chat dell’orrore tra ragazzini. Orrore perché questi ragazzini sono tra i 17 e i 13 anni, e si scambiavano ogni giorno immagini e video di inaudita violenza fisica e sessuale. Cioè: squartamenti, decapitazioni, mutilazioni, e infibulazioni di bambine, nonché scene di pedofilia con bambini piccolissimi. Se i mittenti inviavano queste scene alla rinfusa, e se i riceventi le ricevevano e le trattenevano e le nascondevano tutte insieme, vuol dire che dentro di loro sentono la violenza fisica e la violenza sessuale come collegate e compatibili: respinte e punite dalla stessa repressione degli adulti, ma strumenti utilizzabili per la stessa autoliberazione e autopromozione dei ragazzi e ragazzini. Che trasmettendosi l’un l’altro, in segreto, quelle immagini proibite, si gratificano tra loro, si creano un mondo alternativo, nel quale si attribuiscono potere e autorevolezza, in proporzione alla quantità di sfida che riescono a lanciare al mondo di noi padri e insegnanti. Di fatto creano e trincerano un sottomondo, riservato a loro, a loro che non sanno e cercano e scoprono, e opposto al nostro, di noi che sappiamo e vietiamo e nascondiamo: è come se noi padri e loro figli vivessimo in due mondi separati, un sopramondo e un sottomondo.Uno psichiatra anni fa ha incolpato noi, padri e insegnanti, di questa separazione, perché saremmo noi a crearla e i figli a patirla. Ha inventato un motto, che era: «E non vogliamo ascoltarli». Come se i figli non facessero altro che parlarci con insistenza dei loro problemi, ma noi voltassimo la testa dall’altra parte, per non ascoltarli. M’è sembrato allora e mi sembra ancora che le cose non stessero così, ma all’opposto. E gli risposi rovesciando il motto: «E non vogliono dirci niente». Noi ci mettiamo in ascolto, ogni volta che aprono bocca, ma loro il loro mondo lo tengono per sé. Quando qualcuno di noi riesce a vederne uno spicchio, si spaventa.
Stavolta è stata una madre. Ha scoperto sul telefonino del figlio 13enne foto e video e chat dell’orrore, s’è spaventata, ha chiesto aiuto alla polizia, ed eccoci qui. Separati dai famigliari e dagli insegnanti, brancolando da soli, i piccoli non s’incamminano per la strada della liberazione e della spiegazione, ma del sadismo e della perversione. Nella vita non gli servirà a niente (spero, almeno) sapere come si squartano animali o si decapitano uomini, e come si fa un sesso che sia sofferenza per il partner. Adesso ai ragazzi e ai ragazzini che hanno camminato per questa strada non si tratta più di offrire un’educazione, ma una rieducazione.
Le madri hanno un sesto senso per questo pericolo, è come se inconsciamente fossero sempre all’erta, infatti sono sempre loro a scoprirlo. Le città dove adesso s’indaga su questo fenomeno sono Lucca, da cui l’indagine è partita, Pisa, Cesena, Ferrara, Reggio Emilia, Ancona, Napoli, Milano, Pavia, Varese, Lecce, Roma, Potenza e Vicenza: ma non illudiamoci, il fenomeno non è soltanto lì, lì è stato scoperto, ma ha una diffusione occulta e silenziosa, i files di WatsApp vanno dappertutto e non fanno rumore. Quel che mi stupisce di più nel materiale che questi ragazzini e bambini si scambiano è la presenza del sadismo sugli umani: ci sono squartamenti di persone, dice qui la notizia che leggo, e in qualche caso di animali.
Tante persone e pochi animali. Odiano i loro simili, questi ragazzini? E quindi un po’ anche se stessi? Credono di essere sulla strada della superiorità, e invece sono nell’umiliazione e nell’autoumiliazione. Quando ne usciranno, non ne parleranno più, per vergogna. Dobbiamo affrettargli quel riacquisto di dignità.