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 2020  luglio 14 Martedì calendario

Gli abbracci tra i leader politici

(…) È difficile anche calcolare quando è cominciata questa manfrina per cui drammatiche questioni di guerra e pace hanno preso ad agitarsi nel vuoto dell’euforia soggettiva; forse il primo esempio nel 1998 quando alla Birmingham Symphony Hall i Clinton e i Blair si scatenarono come adolescenti in All we need is love; salvo poi, di lì a qualche settimana, spedire i cacciabombardieri sulla Serbia. Pure Berlusconi, d’altra parte, baciò la mano di Gheddafi prima di aderire all’alleanza militare che lo fece fuori.
Ecco, le immagini di ieri a Basovizza vanno in tutt’altra direzione, che non è solo narrativa, ma prova a sanare le piaghe dei conflitti a beneficio delle nuove generazioni. Così, in nome di un bene superiore Mattarella e Pahor hanno sfidato sia i costumi occidentali, dove non è dato tenersi per mano fra maschi, sia i distanziamenti e la fobia per l’altro del post-Covid. Ma soprattutto, e a partire dai corpi, riecheggiano semmai momenti imprevisti e indimenticabili della recente storia: il neo cancelliere tedesco Willy Brandt in ginocchio sul marmo bagnato dalla pioggia al Memorial della Shoà di Varsavia (1970); oppure Mitterrand e Kohl a Verdun per ricordare i caduti della Seconda Guerra Mondiale, premessa per dire sì all’Europa (1984); un po’ anche l’abbraccio a Compiègne, sempre sotto la pioggia, tra Macron e Merkel cent’anni dopo la fine della Grande guerra (2018). In fin dei conti, sono gesti di umiltà. La fatica della pace, la gloria della riparazione, il destino di un potere che a qualcosa ogni tanto serve pure.