Corriere della Sera, 13 luglio 2020
Intervista a Sergio Staino
Sergio Staino, 80 anni l’8 giugno, nato nel 1940. Come ci si sente alla sua età?
«Bene. Benissimo. Benone. Meglio di dieci anni fa».
In che senso meglio di dieci anni fa?
«In questo senso. La cosa strana fu che compiere 70 anni fu molto più complicato. Mi giravano le scatole da morire, ma da morire! Ero infuriato, proprio non mi piaceva l’idea di superare quella soglia col numero 7, non ne volevo sentir parlare. Meno che mai volevo sentir parlare di feste... Infatti mi chiamò Raffaella, la moglie di Francesco Guccini, lui è nato il 14 giugno 1940, pochi giorni di differenza, siamo grandi amici da sempre. Raffaella mi fa: “Sto organizzando una festa per Francesco a sorpresa, mi aiuti?”. E io: “Non gli fare niente del genere, si arrabbierebbe come sono arrabbiato io...”».
Come finì, per curiosità?
«Mi chiamò pochi giorni dopo: “Grazie, meno male che me lo hai detto, non sopporta il compleanno, sarebbe stato un disastro”. Avevo ragione».
E stavolta con gli 80 anni, in questo 2020, per lei e Guccini com’è andata?
«No, stavolta siamo contenti come due vecchi grulli. L’Unicoop di Firenze ci ha organizzato un bel compleanno virtuale col collegamento a distanza. Un appuntamento magnifico, siamo stati veramente felici: c’erano Lella Costa, Carlin Petrini, Claudio Bisio, Vinicio Capossela, e tanti tanti altri... Tutti cari amici a cui voglio bene, anche perché mi somigliano. Li farei anche ministri di un ottimo governo, magari col supporto di un bravo economista. L’amicizia è la cosa più bella della vita con la famiglia, i figli, i nipotini...».
Il 25 giugno è uscito per La nave di Teseo il suo ultimo libro, «Quell’idiota di Bobo», un titolo dichiaratamente dostoevskiano, una citazione del protagonista, il principe Myškin...
«È proprio così. Per questa bellissima idea, per questo parallelo, devo tutto a due persone che non conoscevo: l’insegnante di storia dell’arte Marco De Feo e l’insegnante di filosofia Mario Gamba. Sul sito www.sciacalloelettronico.it loro paragonavano il mio Bobo al personaggio di Dostoevskij. Ricevetti una telefonata, e una bella voce femminile mi avvisò... Bobo come Dostoevskij! Ero molto prevenuto: da un sito chiamato Sciacallo cosa c’era da aspettarsi?».
Invece «Sciacallo Elettronico» è un sito di studiosi di fumetti, ritenuto molto serio, pieno di analisi sugli autori e di corsi di specializzazione...
«Il web è pieno di cattiveria, e anch’io posso essere colpito, insomma avevo quasi paura. Invece era tutto molto serio e molto bello. Dopo aver letto i testi sono rimasto senza parole. Abbiamo fatto questo libro insieme in tre... Ho anche chiesto un parere al mio amico filosofo “dostoevskista” Sergio Givone che mi ha confermato tutto: la bontà di Bobo non è diversa dalla bontà di quel principe».
La bontà non va di gran moda, come categoria dello spirito, nell’Italia 2020. E non solo.
«Invece è proprio un libro in difesa del buonismo. Abbiamo bisogno di bontà per opporci al populismo più becero. La parola d’ordine adesso è il vaffa. Il vaffa significa: non discuto, non esisti, non mi confronto con te. Robaccia. Ecco, qui c’è da avere veramente paura...».
Le vignette del libro sono molto nitide così come appaiono sul suo blog, www.sergiostaino.it/blog/, che lei attualizza quasi ogni giorno. I problemi con gli occhi come vanno?
«Mi sono abituato alla quasi cecità. L’inizio della distruzione della retina risale al 1977, quindi ho più vita alle spalle con la miopia invalidante che senza. Ma i rimedi ci sono. Esistono le sostituzioni...».
Cosa intende quando parla di sostituzione?
«Per esempio, nonostante il Covid, ho sostituito il tatto alla vista. Quando conosco una persona mi viene istintivo toccarla per capire com’è: prima il viso, poi un abbraccio. Succede anche con le donne. Mi ha dato il permesso il teologo Enzo Bianchi».
E adesso cosa c’entra l’ex priore di Bose?
«Mi ha filologicamente spiegato che Gesù non disse mai a Maria Maddalena, nelle scritture, “non mi toccare”, cioè il famoso “noli me tangere”, ma “non mi trattenere”. Il che è diverso! Il contatto fisico è bellissimo».
Per il lavoro come si è organizzato, con questa sua «quasi cecità»?
«È stata una continua gara con l’aggiornamento cerebrale. La vista diminuiva e il cervello si attrezzava. Abbiamo tutti questa macchina stupenda, il nostro cervello, che non finisce mai di stupire».
Cioè?
«Il cervello mi fa anche vedere ciò che non c’è. Capita che, facendo una dedica su un libro, la penna non funzioni e me lo facciano notare con imbarazzo. Invece io ho “visto” il Bobo che disegnavo e le parole che scrivevo... Altra arma: mai arrendersi. Mai smettere di alimentare la curiosità verso il mondo. Se vado in treno, chiacchiero con chi mi è vicino e le idee arrivano».
Aiuta anche la tecnologia?
«Accidenti se aiuta... Non puoi più leggere? Ci sono gli audiolibri».
Un esempio, un titolo?
«Beh, sentire “Cuore di tenebra” letto da Francesco De Gregori è semplicemente meraviglioso, lo assicuro. In più ho una magnifica macchina che scannerizza i testi e me li legge. Magari con qualche errore, alcuni inciampi... Ma vuoi mettere che posso continuare a leggere ciò che voglio?».
Tornando al lavoro...
«Per lavorare ho uno schermo speciale largo 80 centimetri con una penna elettronica. All’inizio è stato un dramma dire addio alla carta, all’odore degli inchiostri e della china, insomma alla materia».
A quando risale quell’addio?
«Al 2000. Ma poi ho scoperto l’infinito del digitale. Cioè se usi l’acquerello, la tempera o l’olio il risultato è quello che è, puoi un po’ correggere ma nei limiti. Ma col digitale c’è l’infinito assoluto. La penna speciale è calibrata al millimetro ma poi fai ciò che vuoi: cambi i colori, li metti e li rimetti. Sento che quella penna assorbe anche i miei bioritmi. Insomma, c’è qualcosa di mio lì dentro. Poi l’editing finale spetta al mio bravissimo figlio Michele, che ritocca e fa in modo che Bobo abbia il naso di sempre, gli occhiali giusti... Siamo ormai una piccola ditta artigiana».
Torniamo per un momento al tema della bontà e a quel suo libro...
«Ma sì, l’ho detto è una difesa del buonismo. Ce n’è bisogno perché non si ragiona più. E invece occorre confrontarsi, scambiarsi le idee, parlarsi, magari anche litigare. Al centro ci dev’essere il rispetto per l’idea. Ma l’inizio di tutto ha una colpa precisa. Ed è la nostra, della sinistra».
A che cosa si riferisce in particolare?
«L’inizio della degenerazione politica fu il lancio delle monetine contro Craxi all’hotel Raphael. Il primo atto veramente antipolitico... Da lì nasce tutto».
Cosa significa quel gesto, simbolicamente, secondo lei?
«Semplicemente, e amaramente, la distruzione della grande politica nata con la Resistenza. È esattamente quello che penso...».
Concludendo sugli ottant’anni e sulla scarsa vista. Ottimista nonostante tutto?
«Ottimista. E di buon umore. Lo comunico anche a tanti ipovedenti che incontro spesso: magari ragazzi e ragazze adolescenti, o ventenni, che hanno la prospettiva di dover vedere pochissimo nella vita. Ci vuole forza, ci vuole coraggio. Ma si può andare avanti bene».