Affari&Finanza, 13 luglio 2020
I rischi dei bond Matusalemme
Matusalem versus Mes. Come i due giganti muscolosi dei film in costume degli Anni 60 si scontrano sulle pianure d’Europa due concezioni opposte per finanziare il debito che l’epidemia sta facendo crescere come i bicipiti di Gordon Mitchell, che interpretò in quaranta film i ruoli di Ercole e Maciste. Ai due estremi: da una parte i “radicali” fautori delle emissioni di titoli con scadenza di un secolo da imporre in qualche modo al risparmio nazionale; dall’altra gli europeisti senza dubbi che perorano la causa del ricorso al Mes, il fondo salva Stati che oggi presta a tassi bassi e senza condizionalità evidenti.
La sfida dal sapore mitologico divide sovranisti, tifosi dell’oro alla patria e dei bond dal sapore ottocentesco, e tecnoeuropeisti, consapevoli che farsi aprire una linea di credito dall’Ess, lo European stability mechanism, ovvero il Mes, ha la sua convenienza. Non per niente a riproporre il bond irredimibile, una versione ancora più estrema del Matusalem perché non si rimborsa mai, è stato recentemente l’economista euroscettico Paolo Savona, attualmente presidente della Consob. Mentre sul fronte opposto, autori di un manifesto nato all’interno della rete di dibattito telematico, “il Circuito”, si batte a pieni polmoni per l’adesione al Mes, con firme autorevoli come Lorenzo Bini Smaghi, Giampaolo Galli, Marcello Messori, Gian Carlo Padoan e molti altri.
Cosa c’è in palio? C’è la grande richiesta di fondi da parte di tutto il mondo e in particolare, per quanto ci riguarda, da parte dell’area della moneta unica e dell’Italia. Basti pensare che nel 2020 rispetto allo scorso anno il deficit dell’Euroarea, secondo gli ultimi dati delle Spring Forecast di Bruxelles, è balzato dal tranquillo 0,6% all’8,5%. Stessa sorte per il debito: l’effetto-Covid lo ha fatto crescere di poco meno di 20 punti fino al 102,7 per cento. Significa che nell’area dove circola la moneta unica quest’anno i governi dovranno, solo con nuove emissioni, senza tenere conto dei rinnovi dei titoli in scadenza, raccogliere 1.100 miliardi. Siccome i tecnici che tengono le redini dei ministeri del Tesoro europei la sanno lunga, già da mesi si stanno preoccupando di come sfruttare la situazione per ottenere ciò che prediligono: un debito a lunga scadenza, quasi infinita. Peccato che i tassi non siano altrettanto convenienti.
A dispetto degli scetticismi la moda dei Matusalem cammina a passo spedito. Ha fatto clamore il bond per il “risparmiatore” con aspirazioni di immortalità alla Highlander lanciato dall’Austria: scadenza esattamente tra cent’anni nel 2120, tasso di interesse allo 0,85 per cento, piazzato pochi giorni fa per 2,3 miliardi. Ma la lista è lunga: Irlanda e Belgio sono scesi su questo mercato sempre con pezzi da 100, ma lo hanno fatto anche l’Argentina e governi locali del Canada e della Germania.
La verità è che, come ha spiegato Giampaolo Galli sull’Osservatorio Conti pubblici, ci sono almeno quattro rischi nei Matusalem bond: in prima battuta il rischio di mercato, ossia se i tassi salgono la perdita può essere molto forte; poi l’inflazione, che in cento anni può sempre risalire; quindi la possibilità sempre da tenere in considerazione di un default dell’emittente o di un haircut che farebbe perdere irrimediabilmente valore sul secondario; infine il quarto rischio è che un Matusalem bond è illiquido ed esposto alle intemperie dei mercati. Un esempio? Il bond argentino a cento anni collocato tre anni fa al 7,1 per cento intorno a quota 100 nel settembre dello scorso anno aveva perso il 55 per cento del proprio valore. Molto meglio investire in una villetta al mare: si può lasciare in eredità ai propri figli, un po’ come avviene – unica prerogativa concessa – per i bond irredimibili o perpetui. Ma forse con un valore più stabile nel tempo. Per l’Italia poi la soluzione “centennale” non è proprio auspicabile. La precedente esperienza fu il titolo del Littorio del 1926: dopo alterne vicende nel 1946 ogni 100 lire di debito sottoscritto si ridussero a 3 lire di potere d’acquisto. Peggio dei crac finanziari degli ultimi anni. Oggi un Matusalem targato Repubblica italiana, visto lo spread alto che abbiamo, dovrebbe rendere almeno il 3 per cento. Un po’ troppo per la spesa per interessi che sosteniamo ogni anno.
Il nostro Tesoro di conseguenza tiene una linea prudente. Nell’era Covid ha emesso un paio di Btp, l’"Italia” e il “Futura”, legati l’uno all’inflazione e l’altro al Pil: una scommessa ma con tassi che sono piaciuti al mercato, che ha fatto pervenire richieste di miliardi. Nulla invece sul fronte dei Matusalem anche se, secondo alcune indiscrezioni, l’opzione nelle settimane più dure del Covid era stata presa in considerazione.
Si aggiunga il fatto che, per il momento, la situazione di finanziamento dello Stato è paradossalmente serena e migliore dello scorso anno. Il conto è facile: quest’anno – come ricorda un recente rapporto dell’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio – ci servono 552 miliardi, tra fabbisogno e titoli in scadenza. Di questi 199 li acquista la Bce, ne restano 353. La causa? Un rafforzamento degli acquisti di Madame Lagarde dovuto proprio all’introduzione del nuovo Pandemic emergency purchase programme lanciato per 750 miliardi complessivi in piena crisi Covid sull’Europa. Piuttosto bisognerebbe preoccuparsi, più che del dopo-Covid, del dopo Quantitative easing. Lanciato nel 2005 da Mario Draghi regge ed è riuscito a respingere molti attacchi perché ancora l’inflazione non si è appalesata, ma un giorno o l’altro arriverà e allora l’acquisto dei nostri Btp che ha l’effetto di frenare tassi e spread finirà. Allora ci saranno problemi.
Per questo molto meglio, nella lotta tra Matusalem e Mes, tifare per il gigante nascosto nei castelli del Lussemburgo che per il mostro centenario. Dieci anni senza condizioni se non quella di investire in sanità e tassi molto bassi addirittura a sette anni tassi negativi a 0,07 e a dieci +0,08 per cento, con un risparmio di 5 miliardi in dieci anni. Neanche il paragone col 3% dell’eventuale Matusalem ma anche con i Btp “fantasy”, all’inflazione e al Pil, che pure hanno un buon successo ma costano in termini di tassi d’interesse.