la Repubblica, 13 luglio 2020
L’Harley-Davidson e la crisi globale
Quando l’Harley-Davidson non cammina, l’economia Usa s’inceppa. È successo la settimana scorsa. L’azienda di motociclette più famosa del mondo ha annunciato 700 licenziamenti. Fino a qui, niente di speciale. L’Harley è una delle tante società che deve rispondere all’improvvisa fine di un periodo di espansione durato 11 anni. Ma la notizia più importante è che l’azienda ha detto che i tagli non erano in risposta all’epidemia ma parte di un progetto a più lungo respiro per prepararsi al futuro. Benvenuti nella nuova fase della crisi causata dal virus: dopo la recessione, il reset completo dell’economia mondiale. L’Harley, come centinaia di altre società in America, Europa e Asia, ha capito che ci vorranno anni, forse decenni, prima che l’economia ritorni a livelli pre-Covid. Che gran parte dei cambiamenti nei comportamenti di consumatori, investitori e risparmiatori non sono passeggeri, come nei tradizionali cicli economici, ma permanenti. E che è necessario prendere decisioni drastiche, strutturali e definitive.
L’Harley lo chiama Project Rewir e — progetto ricablaggio – ma gli esempi di questo nuovo trend abbondano. United Airlines ha detto che licenzierà un terzo degli impiegati – circa 30. 000.I big della ristorazione Usa, tra cui Starbucks e Dunkin’, hanno deciso che 1.300 bar non riapriranno. E grandi nomi quali Hertz, il gigante dell’autonoleggio, e J.C. Penney e Brooks Brothers – storiche catene di abbigliamento – sono andate in bancarotta.In Europa, i collassi aziendali sono stati evitati (per il momento) solo grazie a miliardi di aiuti di Stato (basta chiedere a Lufthansa e Renault). L’unico aspetto positivo del Grande Reset è che è stato meno devastante della Grande Depressione.
Negli Usa la disoccupazione ha toccato il 14%, ben sotto il 20% raggiunto negli anni Trenta. Ma, come il Covid 19 causa danni a lungo termine in alcuni pazienti, così gli effetti del crollo economico degli ultimi mesi si faranno risentire per anni. Gli economisti sono stati i primi a notarlo. Prima, parlavano di un recupero “a forma di V” – un rimbalzo veloce dopo la recessione di marzo-aprile, aiutato da aiuti di banche centrali e governi.
Ora, invece, in tanti parlano di una ripresa a “U”, molto più lenta. E alcuni sono più pessimisti. Un economista mi ha spiegato il concetto inedito di un’economia a “L”, che va giù e rimane boccheggiante a lungo. I politici per il momento si rifiutano di ammettere che un ritorno alla normalità sarà impossibile.
«Ho creato la migliore economia della storia. E ora la creeremo di nuovo», ha detto Trump pensando alle presidenziali di novembre. Purtroppo per lui, per l’America e per noi tutti, è una pia illusione. Circa un americano su cinque che aveva un posto di lavoro a febbraio è disoccupato. Consumatori che prima utilizzavano le carte di credito come fossero figurine, ora risparmiano tutto il possibile. E aziende che possono vendere i prodotti online ammettono che Internet non sarà abbastanza per rimpiazzare il deserto nei loro negozi. Per un po’ gli effetti più nocivi del Grande Reset verranno mascherati dagli steroidi dello stimolo monetario e fiscale. Ma le correnti fondamentali sono chiarissime. Come un Harley che non parte più, l’economia mondiale colpita dal virus va completamente ricablata.