Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  luglio 13 Lunedì calendario

Lettere d’amore dall’Olocausto

Il primo messaggio, inviato clandestinamente da una cella di prigione, comincia così: «Vi voglio tanto, tanto bene e prego sempre di potervi rivedere». L’ultimo, affidato a un ferroviere amico sul treno che sta entrando ad Auschwitz, si conclude con parole che suonano come un addio: «Il fumo si vede anche da lontano. Questo è l’inferno». Ci sono echi del Diario di Anna Frank nella storia di Daniele Israel, ebreo italiano incarcerato dai nazisti a Trieste nel 1943, che riuscì a spedire 250 lettere alla moglie nascondendole nel colletto delle camicie destinate alla lavanderia. La sua drammatica testimonianza sulla Shoah è stata recuperata grazie a My Heritage, un’organizzazione britannica di ricerche genealogiche, entrata in contatto per caso con i figli Dario e Vittorio, oggi ultraottantenni, sopravvissuti alla “soluzione finale” ed emigrati in Israele dopo la Seconda guerra mondiale.
Daniele Israel ha 33 anni quando l’esercito tedesco, che controlla l’Italia del nord dopo la creazione della repubblica di Salò, lo arresta insieme ai suoceri in un rastrellamento nella città giuliana. Rinchiuso nel carcere cittadino di Coroneo, vede altri ebrei catturati con lui partire per una destinazione sconosciuta. Ben presto capisce di cosa si tratta: finiranno nei campi di concentramento in Germania. Ma lui viene trattenuto in virtù delle sue mani d’oro: è uno dei migliori tappezzieri della città, il comandante della prigione e gli ufficiali nazisti ricorrono ai suoi servigi per materassi e poltrone. La partenza per il lager viene ritardata per otto mesi, durante i quali il detenuto escogita un rischioso sistema per comunicare con i familiari: scrive messaggi sui fogli di un quaderno a quadretti o sulla carta strappata da un giornale e li infila nell’interno del colletto delle proprie camicie, quando vengono portate alla lavanderia della prigione. Lì può contare sull’aiuto cruciale di due ex-dipendenti del suo negozio, che rischiano la vita per fare pervenire le camicie alla moglie Anna, fuggita con i bambini in campagna presso un cugino, il quale fa credere ai vicini che siano degli sfollati da Pola. Recuperati i messaggi, Anna lava gli indumenti, nasconde a sua volta una risposta nel colletto e rispedisce tutto al carcere. La corrispondenza non sarà mai scoperta.
Dopo la guerra, la moglie cerca invano di scoprire che fine ha fatto Daniele: l’ultima tappa conosciuta è Auschwitz. I suoi resti non verranno mai rintracciati, potrebbe essere morto in una marcia verso un altro campo, nei giorni finali del Terzo Reich.
Anna e figli si trasferiscono nel neonato stato di Israele: un desiderio espresso più volte da Daniele, ma fatalmente rinviato per restare vicini ai parenti di lei. «Aspettavamo le lettere di papà con trepidazione, la mamma le leggeva insieme a noi e poi le ha conservate per tutta la vita come il suo più importante tesoro», ricorda il primogenito Dario «ma non ne ha mai più voluto parlare, forse per risparmiarci nuovo dolore». Soltanto nel 2008, alla morte di Anna a 96 anni, i figli hanno recuperato quei fogli di carta ingialliti dal tempo. E solo nel 2017 si sono resi conto dell’importanza che avevano, mostrandoli agli esperti di My Heritage che stavano effettuando ricerche genealogiche sugli ebrei di Corfù, molti dei quali provenienti da Trieste. «È davvero un tesoro storico, non credo che troveremo mai più qualcosa del genere», dice alla Bbc Elisabeth Zetland, ricercatrice di My Heritage. Ora gli originali sono custoditi allo Yad Vashem di Gerusalemme.
Nel suo epistolario dalla prigionia, Daniele Israel esprime incredulità, paura, speranza e disperazione. «Fammi avere, se puoi, mezzo litro di Marsala per lo zabaione», scrive in una delle prime lettere alla moglie. In un’altra, verso la fine, si rammarica di avere sgridato aspramente i figli, perché non si erano difesi quando i compagni di scuola li avevano chiamati “porci ebrei”: ormai teme di non vederli più. Quest’anno Dario e Vittorio sono tornati a Trieste per la posa delle pietre d’inciampo in ricordo del padre e dei nonni scomparsi nel lager. “Daniele Israel”, recita quella del genitore, “Trieste, 1910 – Auschwitz, data sconosciuta”.