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 2020  luglio 12 Domenica calendario

Intervista alla storica Jill Lepore

Jill Lepore, storica americana, è docente all’Università di Harvard, scrive per il New Yorker e si occupa del podcast The Last Archive. Nel suo nuovo libro, Queste verità. Una storia degli Stati Uniti d’America, ripercorre le vicende della politica, del diritto, della società e della tecnologia americani dall’età della scoperta ai giorni nostri. Con questo monumentale affresco, Lepore ha creato la prima grande storia degli Stati Uniti d’America per il XXI secolo. Il titolo del suo libro è tratto dalle parole di Thomas Jefferson, architetto e autore della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti (1776), che ha definito le caratteristiche uniche dell’«esperimento americano»: «Riteniamo evidenti queste verità, che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, che tra questi ci sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità».
Professoressa Lepore, Jefferson ha scritto che «tutti gli uomini sono creati uguali». Questo principio è stato tradito?
«È stato sia ampliato, per includere molte più persone di quante Jefferson intendesse, sia tradito».
L’America è ora più che mai divisa tra sostenitori dei diritti umani e fondamentalisti religiosi che acquistano armi per autodifesa?
«Trump sarebbe d’accordo con questa definizione, io no. Le vere divisioni sono tra ricchi e poveri».
Tecnologia e intelligenza artificiale aumenteranno o diminuiranno le disparità nel mondo?
«Negli Stati Uniti, la disparità di reddito continua a crescere dal 1968, quando la Grande Società di Lyndon Johnson ha iniziato a crollare e i conservatori hanno trovato un nuovo successo nello smantellamento del New Deal di Franklin D. Roosevelt. La tecnologia non guida la politica. La politica guida la politica. Gli utopisti tecnologici che negli Anni 90 sostenevano che Internet avrebbe risolto tutto non capivano né la storia né la politica».
Il mondo tecnico/scientifico sta soppiantando la politica? Chi è più potente oggi, Washington o la Silicon Valley?
«Il governo federale degli Stati Uniti è a pezzi. Funziona a stento. Una delle tante cose che non è riuscito a fare è regolamentare le aziende che fanno affari nella Silicon Valley. Ma ciò non significa che la Silicon Valley abbia più potere, in senso strutturale o costituzionale. Il suo regno finirà».
La sorprende che Trump stia cercando di ritirare l’America dalle sue alleanze tradizionali costruendo muri e imponendo dazi sui beni stranieri?
«Non mi sorprende, è quello che si era impegnato a fare. È un male? Sì. È terribile».
Prevede una guerra tra America e Cina? 
«Non posso fare previsioni».
L’America ha strutture mediche molto avanzate, invidiate in tutto il mondo, eppure era impreparata a gestire la pandemia e non ha reagito meglio di altri Paesi. Come lo spiega?
«Ha ragione. E la mia risposta è la stessa: il governo federale degli Stati Uniti non funziona».
La maggior parte degli americani pensa che la Cina sia responsabile della pandemia?
«Responsabile nel senso che il virus è emerso lì? Sì. Responsabile nel senso di una qualche oscura cospirazione? No. Gli americani non lo pensano».
Come docente universitaria crede che, man mano che ci abitueremo all’interazione via webcam per studio o lavoro, il ruolo delle università e delle biblioteche cambierà?
«Penso che l’apprendimento online sia, in gran parte, un disastro. È molto peggio, però, per gli studenti delle medie e per i liceali che per gli universitari».
Nel capitolo finale del suo libro il racconto inizia dall’11 settembre.
«Sì, e termina il 9 novembre 2016, giorno delle elezioni. Si intitola America, Disrupted e racconta la destabilizzazione della vita americana e del posto degli Stati Uniti nel mondo in quel lasso di tempo, dalle Torri Gemelle a Trump».
Tutti gli ex presidenti americani viventi - Barack Obama, George W Bush, Jimmy Carter, Bill Clinton - hanno preso le distanze dalle dichiarazioni di Trump sull’uccisione di George Floyd a Minneapolis. Una cosa mai successa prima. Cosa ne pensa?
«Negli Stati Uniti le persone da ascoltare in tema di giustizia razziale sono quelle che protestano per le strade, non i presidenti».
Nel 2016 i repubblicani avevano numerosi altri candidati, eppure hanno scelto Donald Trump, e i democratici hanno scelto Hillary Clinton. Perché i partiti politici in America hanno molta importanza ma non sono in grado di fornire candidati di qualità?
«È un’ottima domanda. Gli scienziati politici sostengono che il sistema del partito americano si sia "svuotato". I partiti sono ormai dei gusci vuoti. Concordo con questa valutazione».
A quattro mesi dalle elezioni presidenziali, pensa che Trump sia ancora un candidato forte per i repubblicani e Joe Biden per i democratici?
«No, sono entrambi candidati deboli».
La storia americana dimostra che dalla schiavitù ai tempi di Jefferson, gli afroamericani hanno fatto progressi significativi, compresi gli 8 anni di presidenza di Barack Obama. Tuttavia, le tensioni razziali e i forti movimenti razzisti non sembrano spariti. Una tragedia senza fine?
«Spero proprio di no. Sono cautamente ottimista».
Dall’Unione sovietica si è passati alla Cina come nemico numero uno. È pericolosa per la pace nel mondo?
«Molto probabilmente l’isolazionismo americano è più pericoloso».
I valori della Dichiarazione di indipendenza, scritta, tra gli altri, da Jefferson sono ancora i valori americani di oggi?
«Gli ideali di libertà, uguaglianza, diritti naturali e sovranità popolare rimangono i valori americani fondamentali, ma aggiungerei molte altre cose a tale elenco, incluso lo stesso trattamento davanti alla legge».—
Traduzione d Carla Reschia