Corriere della Sera, 12 luglio 2020
La fine del mondo, 60 anni fa
Nove giorni prima dell’Apocalisse annunciata dal Profeta Emman, quando già l’altopiano himalayano e le vette andine e le Montagne rocciose americane stavano per essere sommerse, arrivò al rifugio Pavillon sul Monte Bianco anche una lettera da Parigi firmata da un certo Beato Gabriele D’Annunzio, al secolo il sedicente Joel Horis de Seire: «Mio caro fratello Emman, io discepolo D’Annunzio, protettore di 553 sudditi fedeli attualmente in viaggio per raggiungervi, mi faccio interprete di questa folla ansiosa per chiedervi di voler accordare a essi alloggio durante il periodo delle diverse fasi concernenti la fine del mondo. Il gruppo si compone di 151 francesi; 108 inglesi; 50 olandesi; 44 russi; 105 polacchi; 95 cinesi; uomini e donne insieme. Questa carovana ha al suo seguito 9 camion, 3 bulldozer, 2 camion con gru trasportabili, 3 gru fisse, 8 vetture anfibie, 6 motociclette, 22 jeep, 6 canotti pneumatici...».
Sei canotti pneumatici contro il diluvio universale che già era stato impegnativo per l’Arca di Noè quando «le cateratte del cielo si aprirono» e «cadde la pioggia sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti»? Eppure, mentre i giornali aggiungevano di giorno in giorno nuovi dettagli sempre più inverosimili e spassosi, centinaia di italiani e di stranieri, gente sempliciotta facile da incantare, ma anche un paio di ingegneri e un po’ di professionisti, cercarono sul serio di raggiungere il luogo scelto dalla Setta per sopravvivere alla fine del mondo. Spiccò tra gli altri un titolone a tutta pagina: «Aspettano il diluvio tra le nuvole». Il capolavoro, però, quel 14 luglio 1960, fu un elzeviro sul «Corriere della Sera» di Dino Buzzati. Una leccornia: «Da leggere alle 13,38 di oggi».
Ma partiamo dall’inizio. Cioè dalla crisi mistica in cui precipitò a metà degli anni Cinquanta un pediatra milanese dalla barba più alpina che profetica, Elio Bianca. Il quale raccontò che la sorella minore Wilma, spirata nel letto dei dolori dicendo «mi spengo per tutta l’umanità ma resterò sempre con voi», gli era apparsa in sogno e l’aveva messo in contatto, come si legge in una cronaca del «Corriere d’Informazione», «con gli spiriti dell’aldilà, spiriti di prima classe come Carducci, Leopardi, Demostene, D’Annunzio. E infine con l’arcangelo Gabriele e con il Logos». Il Verbo.
Il quale Verbo, dettandogli attraverso l’Arcangelo, nel corso di sei anni, nientemeno che «diecimila cartelle dattiloscritte in rosso stampatello» (parola di un grande inviato e scrittore ricco di ironia del nostro quotidiano, Enzo Grazzini) ispirò il pediatra a cambiare nome ribattezzandosi Fratello Emman, a fondare una setta religiosa chiamata Comunità del Massiccio Bianco, a indossare lunghe tuniche cerimoniali e distribuire infine moniti e profezie. Su tutte questa: il 14 luglio 1960, alle 13:45 (non un minuto prima, non un minuto dopo) da qualche parte non precisata del mondo sarebbe avvenuta un’esplosione termonucleare, causata da una «Bomba Eta». E questa esplosione avrebbe scatenato una serie di terremoti e maremoti così sconvolgenti da sterminare i due miliardi di esseri umani (tanti eravamo, sessant’anni fa) e sommergere i cinque continenti, consentendo di sopravvivere solo a piccole minoranze. Tra le quali, appunto, i fedeli che si fossero rifugiati col Profeta nel loro rifugio. Il Pavillon Gehovonise, sul Monte Bianco, preso in affitto da una guida alpina. «E voi come la sapete, la data?», gli chiese un cronista della tivù francese. E lui, il pediatra: «La sappiamo per la rivelazione dataci da Dio».
Walter Molino ci fece una copertina della «Domenica del Corriere». Col dottor Elio Bianca in tunica da profeta che sfidava nel cielo della valle gli spettri dei Cavalieri dell’Apocalisse. La didascalia irrideva al «finto santone». «Un ridicolo Messia». L’autore del reportage, Vincenzo Gibelli, raccontava dei nomi con cui i «fedeli» erano stati ribattezzati. Tutti presi «dalla Olosemantica monotematica, una lingua antichissima, più ancora del sanscrito, che sarà parlata dai superstiti del diluvio». Precisava tuttavia che l’Altissimo parlava al suo nuovo Mosè milanese in italiano e che questi registrava a sua volta i messaggi, altrimenti muti, su un magnetofono.
I più scettici, raccontò il «Corriere», erano i vicini di casa del medico-Messia, che viveva vicino a Porta Venezia: «“Non dovrebbe dire queste cose – ha detto una signora che abita nel caseggiato – ci sono i malati di cuore”. “La natura la fa semper disaster. Semm tucc provisori”, ha commentato un’altra, con qualche preoccupazione». Certo è che un filo di angoscia, a leggere i giornali in quei giorni, si infilò sottile sotto la pelle di tanti. «Questa faccenda dura ormai da qualche tempo ed è dal 1958 che le cronache estive si occupano di queste persone un po’ strane accampate a 2.173 metri del massiccio del Monte Bianco sopra Courmayeur», scrisse un giornale, «Ma ora si sta avvicinando il “dunque” e molti man mano che trascorrono i giorni mostrano di impressionarsi con gravi conseguenze per i loro nervi».
E fu lì, proprio il giorno fatidico, che il «Corriere» regalò ai lettori quel gioiello giornalistico di Dino Buzzati (disponibile per gli abbonati a Corriere.it): «Calcolando che per leggere questo articolo ci vogliano circa 7 minuti, il lettore, o la lettrice, si troverà alle ultime righe proprio quando succederà la fine del mondo (prevista, com’è noto, dal “fratello Emman” per le ore 13,45 di oggi, 14 luglio 1960, giorno di San Bonaventura). D’accordo. Gli ultimi istanti di questa dannatissima esistenza si possono impiegare meglio che non leggendo la prosa dell’umile sottoscritto. Sia buono, però, almeno uno di voi. Mi accontenti, e legga. Non pretendo questo da chi ha famiglia e logicamente ci tiene a scambiare gli ultimi frizzi coi genitori, con la moglie, coi figli. Né da chi ha al suo fianco la donna amata. Figurarsi se avrebbe voglia di spendere l’estremo pezzettino di vita sulla terza pagina del “Corriere della Sera”. Ma ci sarà pure qualche solitario, sprovvisto, per una ragione o l’altra, di persone care a portata di mano o di voce. E che si guarderà intorno, chiedendosi: “Be’, questi ultimi minuti come li posso impiegare?”. Si sieda costui (o costei) sulla poltrona, accenda una sigaretta, apra il giornale e mi legga, per favore. Dio mio, come sarei felice di sapere che, nel preciso attimo che il mondo sprofonda nel nulla, c’è uno che sta leggendo un mio articolo. Finirei veramente in bellezza».
La mattina dopo, la testa bassa sotto gli occhi di un poliziotto e di un carabiniere, tolta la veste da Profeta, rimessa la camicia a quadri, accantonata la lingua olosemantica monotematica, il sedicente inviato di Dio leggeva un comunicato: «Tutti possono sbagliare». La sera stessa, a Courmayeur, annunciarono l’idea di eleggere una «Miss Finimondo».