la Repubblica, 12 luglio 2020
Elon Musk più ricco di Buffett
Se fosse uno sportivo avrebbe un nomignolo come “Cannibale” o giù di lì. Elon Musk, fondatore della Tesla produttrice di auto elettriche, non si ferma più. Guidata la sua creatura in vetta alla classifica dei costruttori, con un valore di mercato sopra 280 miliardi di dollari, si è tolto la soddisfazione di superare Warren Buffett nella graduatoria dei Paperoni per issarsi al settimo posto globale. Grazie al boom azionario della Tesla (+269% quest’anno), Musk, che ne detiene un quinto, siede su una fortuna di 70,5 miliardi, includendo i 15 che vale il controllo di SpaceX, la società dei viaggi spaziali. Sul Bloomberg Billionaires Index va così in scena il passaggio del testimone: archetipo dell’investitore che crede nella crescita costante nel tempo, l’Oracolo di Omaha (sceso a 69,2 miliardi anche per la donazione in beneficenza di un pacchetto da 2,9 miliardi della sua Berkshire Hathaway) cede il passo alla finanza che va da zero a cento in pochi secondi. E che fa sempre più rima con tech: da Bezos in giù, ormai l’elenco dei più ricchi del pianeta è un quasi-monocolore di alfieri tecnologici. In barba alla pandemia, il listino loro dedicato, il Nasdaq, sta aggiornando record su record. Molti ormai si chiedono se sia tutto valore reale: «È irrazionale, siamo di fronte a una bolla speculativa», il monito del gestore Mike Novogratz all’agenzia finanziaria.
Fino ad ora, per Musk la finanza è stato un gioco vincente. E certo non “noioso”, come ha definito l’approccio di Buffett agli affari. Si è fatto beffe dei fondi speculativi che scommettevano al ribasso sul suo titolo: ha dedicato loro degli “short shorts” (nel gergo di Borsa, shortare significa puntare contro una società), un paio di pantaloncini rosso-oro, mettendoli in vendita alla modica cifra di 69.420 dollari. Richiamo ai 420 dollari che, in un tweet del 2018, indicò come soglia di prezzo alla quale avrebbe ricomprato la compagnia. Una sparata dalla quale nacque un’indagine Sec (l’autorità americana dei mercati): addio alla presidenza, ammenda da 20 milioni e impegno a non cinguettare di temi sensibili senza una previa supervisione degli avvocati.
Incidenti su un percorso che ora sembra inarrestabile. Come la più recente querelle sulla decisione di diventare assicuratore dei suoi stessi consiglieri di amministrazione, fornendo personalmente una polizza per proteggere il cda da eventuali richieste di risarcimento, non trovandone sul mercato di convenienti. Mossa bocciata dalle società di consulenza, Glass Lewiss e Iss, come attentato all’indipendenza dei manager. Battaglia che si è spostata sulla rielezione della presidente Robyn Denholm: a settembre ci sarà la resa dei conti, in assemblea, ma Musk l’ha già offuscata preannunciando grandi novità sul fronte delle batterie.
Un imprenditore fuori dagli schemi, che dopo le iniziali delusioni ha iniziato a far girare il motore delle sue industrie a pieno ritmo. Il successo della Model 3 ha spinto le consegne sopra le attese (oltre 90 mila auto nell’ultimo trimestre), mentre il resto delle case chiudeva per Covid. D ’altra parte, per gli analisti gioca un campionato a parte: più simile a un iPhone, il suo prodotto, che a una berlina. Numeri che secondo Reuters sono indizio di un nuovo trimestre profittevole: sarebbe il quarto di fila, mai successo prima. Musk non si accontenta: è tornato a promettere la piena guida autonoma delle sue vetture entro la fine dell’anno. E in pochi ormai derubricano le sue parole come semplici boutade.
La crescita di valore di Tesla ne lastrica il futuro d’oro. Musk non percepisce uno stipendio come i “normali” ceo di Wall Street, ma pacchetti di azioni che si sbloccano al raggiungimento di obiettivi finanziari. Già a maggio ha staccato un jackpot da centinaia di milioni e il momento del bis – capitalizzazione media di 150 miliardi per sei mesi – è alle porte. Ogni tranche gli attribuisce 1,69 milioni di titoli a 350,02 dollari. Ai corsi attuali, significa una plusvalenza potenziale (non denaro sonante, perché le azioni sono vincolate per cinque anni) nell’ordine dei 2 miliardi. Ai tempi della sua costruzione, il pacchetto fu valutato fino a 55,8 miliardi. Se la bolla non scoppierà, farà impallidire il “povero” Tim Cook, che nel 2019 si è dovuto accontentare di compensi per 133 milioni dalla sua Apple.