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 2020  luglio 12 Domenica calendario

Il tallone d’Achille delle tre grandi autocrazie

Galvanizzate dall’indebolimento delle democrazie, efficaci nella gestione del Covid 19 e accomunate dalla volontà di guadagnare spazio sulla scena internazionale, le tre maggiori autocrazie del Pianeta – Cina, Russia e Turchia – vedono i rispettivi leader protagonisti di un tentativo di rafforzamento del potere per mettere a tacere ciò che più temono: il dissenso interno.
Le immagini delle manifestazioni di piazza negli Stati Uniti per abbattere le statue di Padri Fondatori ed eroi nazionali così come le liti intestine nell’Unione europea attorno ai fondi della ricostruzione post-Covid 19 hanno rafforzato a Pechino, Mosca e Ankara l’opinione di chi ritiene che l’Occidente sia destinato all’implosione consentendo ai suoi rivali strategici di modificare a proprio favore l’equilibrio internazionale.
A ciò bisogna aggiungere che Xi Jinping, Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan hanno finora gestito la pandemia in maniera assai efficace. Il leader cinese è riuscito a domare – con tattiche brutali – la prima ondata ed ora sta contenendo la possibile seconda grazie a un imponente uso di risorse sanitarie e di sicurezza gestite dal governo centrale.
Il presidente russo ha ammesso con grave ritardo entità e diffusione dei contagi ma, anche in questo caso, il saldo controllo governativo su sicurezza e informazione ha scongiurato ogni sorta di ripercussioni negative. E il presidente turco è stato ancora più abile perché non solo è riuscito a contenere i contagi ma ha anche creato in tempi record centri di produzione di respiratori per la terapia intensiva che ne hanno rafforzato i conti dell’export e l’influenza strategica.
Tali e tanti eventi, innescati dall’impatto del Covid 19, hanno così fatto percepire a Xi, Putin ed Erdogan – divisi da interessi rivali ma protagonisti di un network di intese ad hoc nelle crisi regionali – il fatto di essere in grado di moltiplicare ed accelerare le sfide a una traballante comunità delle democrazie.
È in questa cornice che i tre leader, seguendo percorsi diversi, hanno compiuto nell’arco di dieci giorni scelte assai simili ovvero tese a consolidare il proprio potere in patria. Ha iniziato Xi Jinping con l’approvazione, il 30 giugno, della legge di sicurezza che estende a Hong Kong le norme cinesi rendendo più facile reprimere le manifestazioni di protesta e limitare l’autonomia dell’ex colonia britannica grazie a 66 articoli che, secondo i dissidenti, limitano anche la libertà di espressione.
Poi è stato Vladimir Putin, il 2 luglio, a imporsi con uno schiacciante 77,9 per cento dei voti nel referendum sulla riforma costituzionale grazie al quale potrà restare alla guida del Cremlino fino al 2030 ottenendo un «trionfo» – come lo ha definito – che gli assicura il traguardo di 30 anni di potere consecutivo rivaleggiando negli annali dell’Urss-Russia con Joseph Stalin.
Infine, il 10 luglio, Erdogan ha azzerato la decisione con cui nel 1934 Ataturk, padre della moderna Turchia, tolse agli imam ottomani il controllo dell’ex Cattedrale di Santa Sofia, eretta da Giustiniano nel 537 e simbolo del cristianesimo d’Oriente, trasformandola in museo con l’intento di lasciarsi alle spalle le più sanguinose guerre di religione. Erdogan l’ha restituita agli imam, facendo propria la scelta del Sultano Mehmed II nel 1453 di trasformarla in una moschea e, in questa maniera, ha rinsaldato il legame con l’identità islamica che è alla base del successo del proprio partito Akp con cui nel 2003 arrivò al potere.
In tutti e tre i casi si tratta di leader che cercano di sfruttare il momento globale favorevole per mettere al sicuro il proprio potere facendo tacere gli oppositori interni: per Xi il maggior pericolo viene dalla rivolta di Hong Kong, per Putin arriva dal dissenso fra i giovani, per Erdogan dall’indebolimento politico evidenziato dalla sconfitta nella sfida per il sindaco di Istanbul.Tutti e tre temono che queste crepe, sommate alle difficoltà economiche innescate da Covid 19, si allarghino fino a far vacillare la propria autorità e dunque agiscono, con energia e tempismo, per indebolire chi li minaccia. Nella consapevolezza che l’Occidente è distratto, quasi immobile, a causa di lacerazioni e proteste. Resta da vedere se Xi, Putin ed Erdogan hanno indovinato o meno la scelta del blitz politico interno.Saranno i prossimi mesi a dirci come reagiranno i loro avversari: se arretrando o rilanciando le sfide. In attesa di sapere come andrà non ci possono tuttavia essere dubbi sul fatto che le scelte di Pechino, Mosca e Ankara svelano il tallone d’Achille delle tre maggiori autocrazie: lo scontento dei propri cittadini.