la Repubblica, 11 luglio 2020
La nuova frontiera delle serie tv turche
«Noi vogliamo sempre vedere un bravo ragazzo che sposa una bella figliola. Poi però, dannazione, il mondo è cattivo. E i cattivi ci girano intorno». Schematico forse, un po’ rude, ma chiarissimo. In fondo I promessi sposi non partivano da qui? Dopo, dipende tutto da come lo si scrive. Quello che racconta Eset, giovane sceneggiatrice e filmmaker a Istanbul, è il cuore della storia. Di qualsiasi storia – tanto più in Turchia, Paese sentimentale come pochi, e di come la storia si sviluppa, si parli della creazione dell’Impero Ottomano, di amori nell’harem o di militari che difendono l’onore perduto. Ecco perché oggi la fucina turca fatta di attori, sceneggiatori e produttori ha messo su un’industria capace di sbaragliare l’intera concorrenza internazionale vendendo i propri prodotti a tutto il mondo. Con un risultato che fa della Turchia il secondo Paese nel settore dopo gli Stati Uniti.
«Per favore non chiamiamole soap opera – dice Arzu Ozturkmen, che insegna Storia all’Università del Bosforo – non sono telenovele. Queste sono “dizi"». Cioè un “genere in evoluzione”, con un tipo di narrativa e musica capaci di usare lo sfondo turco, ma dalla valenza internazionale. Polpettoni di livello sublime come Dirilis, Ertugrul ( Resurrezione, Ertugrul), super dramma del XIII secolo sul padre di Osman I fondatore dell’Impero Ottomano, hanno preso alla gola leader mondiali come il premier del Pakistan o il capo di Stato venezuelano. Così Imran Khan ha scritto sul suo profilo Twitter dopo che la serie è stata presentata ad aprile a Islamabad, raccogliendo mezzo miliardo di visioni su YouTube: “ Dirilis, Ertugrul vi insegnerà la storia e l’etica dell’Islam”. Mentre Maduro ha invitato il produttore a Caracas per un progetto da fare in joint venture.
Lo streaming planetario e l’effetto lockdown che ha costretto milioni di persone a casa hanno fatto schizzare in alto gli indici di gradimento delle serie tv turche. Il resto lo ha portato la forza di Netflix. Con l’aiuto, ovviamente, di prodotti curati, regie ottime, attori eccellenti. Ingredienti che stanno facendo apprezzare i film turchi ovunque, dal Medio Oriente al Nord Africa, dalla Russia all’America Latina. In ultimo anche in Europa, Italia compresa.
All’inizio del Duemila, i primi ad accorgersi della potenza delle serie tv turche furono i Paesi arabi. E titoli come Muhteshem Yuzyil ( Il secolo magnifico), affresco storico sull’era ottomana, fecero strame. Orde di turisti emiratini e sauditi piombavano a Istanbul dalle capitali del Golfo come calamitati per vedere i luoghi storici dove l’Impero era nato e si sviluppava. Il secolo magnifico poi spopolò in Giappone. Da lì in avanti, oltre 150 “dizi” turchi vennero venduti in 200 Paesi, dall’Algeria alla Bulgaria. Le terre dell’ex Impero. Ma anche oltre.
Oggi le serie turche furoreggiano dappertutto. Il loro segreto? Avventure d’azione, eventi storici drammatici, misteri radicati nel passato, epica militare. Spiega l’attore turco-tedesco Mehmet Kurtulus, protagonista nella serie belga di Netflix Into the Night: «I prodotti turchi combinano i valori orientali forti della famiglia e dei rapporti interpersonali con quelli occidentali dell’intrattenimento, del divertimento». Netflix lanciò The Protector, la sua prima serie turca, nel 2018. Con un’accortezza: mescolava temi classici di drammi turchi lunghissimi, riadattandoli però in dieci episodi da 40 minuti l’uno. L’esperimento ha funzionato: nuove serie, più stagioni. «Netflix – continua l’attore Kurtulus – ha insegnato ai produttori turchi a mantenere i loro valori professionali, ma ampliandoli con un linguaggio internazionale».
Non tutto è filato sempre liscio. Dopo la rottura diplomatica fra Arabia Saudita e Turchia, alcuni film sono stati cancellati e qualche “fatwa” è stata lanciata contro le pellicole “indegne”. In Turchia, Paese dove il confronto politico e sociale è sempre alto, molto del dibattito fra conservatori e liberali si consuma intorno a uno schermo. Per Love 101 l’Ente di controllo tv ha minacciato multe a Netflix se fosse stato presente un personaggio dell’ambiente Lgbt. Il governo ha bollato come “immorali” alcune produzioni. E l’Ente di Stato non ha esitato ad ammonire “chi incoraggia l’uso di alcol” o esprime “valori contrari a quelli della famiglia”.
Ma intanto il successo all’estero continua. Adesso pure in Italia. Dove proprio tre giorni fa su Canale 5 ha preso il via Come sorelle, la nuova Dinasty turca: storia di una giovane ereditiera e futura sposa. Un dramma vecchio come il mondo. Però condito “alla turca”, perfetto esempio di soft power cui molti Paesi ambiscono. Un valore aggiunto non indifferente nella diffusione della cultura, della storia e della società. La Turchia di oggi riesce a far parlare molto di sé, spesso mostrando anche il proprio passato.