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 2020  luglio 10 Venerdì calendario

Periscopio

La stabilità si ottiene sostituendo alle elezioni l’autocertificazione. Massimo Bucchi, scrittore satirico. il venerdì. 
Per l’editore-critico Fabio Canessa «le due parole che fanno più schifo a Vittorio Sgarbi sono carriera e pensione. E ha ragione». Luigi Mascheroni. Il Giornale.

I privilegi hanno contagiato anche il Popolo dell’Onestà. Quando i primi tra loro arrivarono in massa, dopo l’ormai remota vittoria alle elezioni, si erano vietati persino l’ingresso alla buvette: il caffè, dicevano sprezzanti, ce lo andiamo a prendere fuori. Come cittadini normali. Pagandolo un euro: perché noi non vogliamo approfittare dei prezzi simbolici riservati ai politici di professione. Noi non vogliamo cambiare le nostre abitudini. Noi siamo diversi. Noi siamo migliori. Durò un mese, forse meno. Aldo Cazzullo, Fabrizio Roncone, Peccati immortali. Mondadori, 2019.

Di Renato Guttuso ricordo un pranzo a Varese. Mangiavamo riso e lui beveva whisky come se fosse stato un vinello di campagna. Flavio Caroli, storico dell’arte (Roberta Scorranese). Corsera.

Siamo afflitti da politici che ci impongono la solidarietà come fosse un obbligo collettivo anziché un atto spontaneo e individuale. È il modo vile che hanno di scaricare su di noi problemi che non sanno risolvere. Battere la povertà, per esempio, che esigerebbe una politica economica competente. Regolare l’immigrazione che imporrebbe blocchi e selezioni che le anime belle neanche osano immaginare avvolgendo tutto nel solidarismo universale. Giancarlo Perna. LaVerità.

È nell’aggettivo, e nell’uso assoluto che ha cominciato a farne, che davvero si afferra il salto di specie fatto da Conte, da avvocato a presunto indispensabile. È nella ricerca del superlativo, nell’epiteto smisurato, che Conte adesso si gonfia e si svela. Fa dunque un certo effetto orecchiare questa sua neolingua che è la vera finestra sull’uomo, ancora più della pochette che nella pandemia ha riposto nel cassetto o di quel ciuffo che, ha assicurato alle Iene, si regola da solo come negli anni dell’università: «Li tagliavo anche ai miei coinquilini». Carmelo Caruso. Il Giornale.

I moralisti che ci danno l’orticaria e la nausea sono quelli che si impancano a giudici e a censori, che da pergami impegnati fanno prediche sdegnate. Sono quelli che denunciano negli altri i propri vizi per meglio nasconderli. Roberto Gervaso, Italiani pecore anarchiche. Mondadori, 2003.

O vesto classico o indosso (ma solo all’estero) camicie sgargianti fatte su misura da Prada. L’abbigliamento giovanile, sportivo e fashion è ridicolo. Uno, o si veste formale, o capisce la moda, ma, come dice la mia amica Miuccia Prada, c’è meno gente che capisce di moda che d’arte. Costantino della Gherardesca (Candida Morvillo). Corsera.

Quando da bimba ero in vacanza d’estate in montagna, appena la tempesta si allontanava, schiariva il cielo, si affacciava un raggio di sole era come la fine del lockdown adesso: tutti a riaprire gli scuri e le porte, il fabbro dall’officina ricominciava a martellare, e noi bambini tornavamo a giocare. Quel momento, la fine della tempesta, mi ricorda questo nostro primo uscire di casa. Cauto: come le donne che vedevo affacciarsi alle finestre, a spiare la ritirata delle nuvole nere. E, rasserenate, rimettevano allora sui davanzali i vasi di rose. Marina Corradi, scrittrice. Avvenire.

Giampiero Mughini fa la vita di sempre: «Sto chiuso in casa a leggere. È il lusso della vita». Massimiliano Parente. Il Giornale.

Da quando è iniziata la sua fase Churchill, in Conte è emerso un codice che non è più quello della palude o della «caducazione della concessione», un vorticoso giro su se stesso per prendere tempo e non decidere sul dossier Autostrade. Avevamo in passato catalogato i frammenti del contismo, un impasto di accademese in cartapecora, un po’ notaio e un po’ paglietta alla Totò, quello del «parli come badi», e che meriterebbe di essere allegato ai documenti che Augusto Frassineti aveva raccolto nel suo Misteri dei ministeri: «Fiducioso del suo illuminato interessamento per tutto ciò che comunque ridondi, mi permetto di farle presente quanto segue». Carmelo Caruso. Il Giornale.

La mia decisione di lasciare la Comunità di Bose che avevo fondato non fu un gesto improvviso. Da tempo avevo annunciato alla Comunità la mia intenzione di non restare priore fino alla morte, come di solito fanno i fondatori. E quando ho sentito che le forze fisiche, non quelle mentali, diminuivano mi sono consultato con alcuni uomini e donne «spirituali» capaci di discernimento e ho lasciato il timone con grande pace. Enzo Bianchi, fondatore e primo priore della Comunità di Bose (Antonio Gnoli). la Repubblica.

Quando tutto questo sarà finito voglio dedicare ancora più tempo e impegno ai giovani. Tra poco mi collegherò con i ragazzi del Senato, dodici architetti che seguono tre progetti per tre spazi pubblici a Padova, Modena, Palermo. Quando ho compiuto sessant’anni, ormai molto tempo fa, con mia moglie feci un viaggio in Giappone, e visitai il tempio di Ise che è importante perché viene distrutto e rifatto ogni vent’anni. In Oriente, l’eternità non è costruire per sempre, ma di continuo. I giovani arrivano al tempio a vent’anni, vedono come si fa, a quaranta lo ricostruiscono, poi rimangono a spiegare ai ventenni. È una buona metafora della vita: prima impari, poi fai, quindi insegni. Sono i giovani che salveranno la terra. I giovani sono i messaggi che mandiamo a un mondo che non vedremo mai. Non sono loro a salire sulle nostre spalle, siamo noi a salire sulle loro, per intravedere le cose che non potremo vivere. Renzo Piano, architetto e senatore (Aldo Cazzullo). Corsera.

Sbagliando ho preferito evitare i salotti romani. Sbagliando, perché passi per uno che può fregarsene delle regole della casa, e, snobbandole, le deride e, con le regole, le persone che le incarnano. Un arrogante, razza insopportabile. La verità è che là dentro e là sopra mi sarei sentito come un pinguino sul pack, troppo preoccupato di non scivolare, e quindi goffo. Carlo Verdelli, Roma non perdona. Feltrinelli, 2019.

Vissi due mesi letteralmente appeso a Leo Longanesi, di città in città. A Verona un conte gli disse di essere stato partigiano monarchico. Fu la rottura: immediata. «Senta, io di partigiani non ne voglio tra i piedi, di nessuna specie. Ma se debbo scegliere preferisco quelli di Imola, che almeno sono comunisti… Venga, Buscaroli, andiamo a Imola». Piero Buscaroli, Una nazione in coma. Minerva edizioni, 2013.

Chi mantiene sempre le promesse, prima o poi se ne pentirà. Roberto Gervaso. Il Giornale.