il Fatto Quotidiano, 10 luglio 2020
E Caltagirone risparmia grazie allo smartworking
Chi oggi passa davanti al palazzo di via del Tritone 152 a Roma non troverà nessun giornalista al Messaggero. Dall’inizio dell’epidemia il quotidiano romano della famiglia Caltagirone è il primo esempio di giornale in smart working totale. La redazione di un centinaio di giornalisti non c’è, lavorerà da casa almeno fino a settembre. A casa, da lunedì scorso, c’è anche Virman Cusenza, l’ex direttore di 56 anni recordman di longevità al timone del giornale. Quando, a dicembre 2012, Cusenza ha preso il posto di Roberto Napoletano, il Messaggero vendeva oltre 160 mila copie. Secondo gli ultimi dati Ads, a maggio ne ha vendute 61.221: il 62% in meno con il 28,5% perso nell’ultimo anno. Francesco Gaetano Caltagirone e sua figlia Azzurra hanno nominato direttore il suo vice, Massimo Martinelli, 58 anni, al Messaggero da quando aveva 24 anni. Martinelli è stato capo della giudiziaria e della cronaca di Roma: è figlio d’arte, suo padre Roberto era responsabile della giudiziaria al Corriere della Sera.
Secondo il sito Professione Reporter, la fulminea caduta di Cusenza sarebbe dovuta a un contrasto con Azzurra Caltagirone sul passaggio al digitale. Le voci non trovano conferma e al giornale nessuno parla, ma i malesseri al Messaggero non sono recenti. A luglio di un anno fa Cusenza promise “miglioramenti del clima e delle condizioni di lavoro”. A quanto pare non ha fatto in tempo.
I problemi sono molti. Una settimana fa la direzione aziendale ha comunicato a tutti i freelance il nuovo taglio del pagamento delle collaborazioni: per l’online 7 euro ad articolo, 9 se corredato da un video. I collaboratori sono insorti e hanno chiesto di incontrare l’azienda. Il 31 maggio, con una riunione in streaming di domenica, l’assemblea dei giornalisti ha accettato lo stato di crisi e altri 20 prepensionamenti, con due giorni al mese di cassa integrazione per tutti dopo che l’azienda ne aveva chiesti 5. Il Cdr, assistito dall’Associazione Stampa Romana, ha evitato la chiusura di alcune redazioni locali e ottenuto 10 assunzioni al posto dei prepensionati. Ai giornalisti Cusenza aveva dato l’aut aut: “L’alternativa al piano di crisi proposto dall’azienda potrebbe essere una carneficina”. L’editore Caltagirone usa i prepensionamenti da lunghissimo tempo, contribuendo come altri editori a dissanguare le casse dell’Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti.
Ma a sanguinare sono anche i conti della società. A livello consolidato Caltagirone Editore nel 2019 ha perso 30,6 milioni per la svalutazione delle partecipazioni immateriali (avviamenti e testate) nelle controllate (39,8 milioni). La società che pubblica il quotidiano romano ha perso 3,6 milioni, quella del Mattino 2,4, il Gazzettino di Venezia 904 mila euro, il Corriere Adriatico 363 mila, Leggo 306 mila, il Quotidiano di Puglia 273 mila e la concessionaria di pubblicità Piemme altri 2 milioni. Intanto gira voce che la sede occupata dal Messaggero dal 1920 potrebbe essere venduta. L’immobile, che è in capo ad altre società del gruppo, sarebbe valutato più di un centinaio di milioni. Nemmeno questa indiscrezione trova conferma, ma lo smart working totale intanto fa comodo: c’è chi calcola in 11 mila euro pro capite l’anno i risparmi di costi generali che la Caltagirone Editore otterrebbe dal lavoro a distanza.