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 2020  luglio 10 Venerdì calendario

Ian Buruma parla di censura

Grazie al prezioso lavoro sulla cultura asiatica e al libro Assassinio ad Amsterdam sull’uccisione di Theo Van Gogh, Ian Buruma ha raggiunto lo status di intellettuale molto stimato per la solidità dei suoi ragionamenti e la pacatezza delle argomentazioni. Oggi è uno dei circa 150 firmatari del manifesto che si oppone al rischio dell’intolleranza culturale, fenomeno che nasce spesso dalle migliori intenzioni: una vera e propria forma di censura.
Insieme all’intellettuale olandese hanno firmato scrittori di prim’ordine quali Salman Rushdie, Margaret Atwood, John Banville e Martin Amis, ai quali si sono aggiunti intellettuali come Noam Chomsky e Francis Fukuyama. Si tratta di uno schieramento trasversale nel quale Buruma assume un ruolo simbolico: due anni fa venne licenziato dalla direzione della New York Review of Books per aver pubblicato un saggio di Jian Gomeshi, un conduttore radiofonico canadese che era stato assolto dall’accusa di molestie sessuali avanzate da una ventina di donne.
La pubblicazione dell’articolo nel quale esponeva il proprio punto di vista suscitò violente controversie, che si inasprirono ulteriormente quando Buruma difese il proprio operato. Al momento delle dimissioni ci fu chi denunciò il rischio di censura rispetto alla libertà di espressione, ma fino ad oggi un vasto mondo sempre più insofferente non era uscito allo scoperto. «Sono stato felice di firmare» racconta da Amsterdam «e ancora più felice di vedere un numero così vasto di scrittori e intellettuali fare un passo concreto per difendere la libertà di espressione».
Oggi lei pubblicherebbe il pezzo che le è costato il posto?
«Sì, senza nessuna esitazione.
Ricordo a tutti che la persona in questione era stata assolta, un elemento fondamentale che pare non interessasse a nessuno.
Aggiungo che per chi si occupa di cultura è vitale ascoltare ogni punto di vista, anche quelli più lontani dalle nostre convinzioni».
Qual è la sua prima riflessione rispetto al fatto che oggi personalità così diverse sentano la necessità di firmare insieme un manifesto?
«Il politicamente corretto nasce dalla difesa sacrosanta di alcuni diritti, ed aggiungo che ovviamente è intollerabile che vengano commessi abusi o discriminazioni, sia per quanto riguarda il genere che l’etnia o la religione. Ma oggi l’aria si è fatta irrespirabile, e chiunque ha a cuore la libertà sente la necessità di reagire».
È abbastanza impressionante vedere convergere su questo tema intellettuali lontani quali Noam Chomsky e Francis Fukuyama.
«Un ulteriore segnale di quanto sia opprimente un ambiente intellettuale in cui sembra sempre più difficile esprimersi con libertà. Se si anestetizza un’espressione intellettuale o artistica si danneggiano sia l’intelletto che l’arte. Sono rimasto colpito dalla presenza di scrittori dall’enorme successo commerciale come J.K. Rowling, e il fatto che intellettuali con idee lontane convergano sullo stesso fronte di battaglia indica almeno due cose: tra i liberal è nata finalmente la consapevolezza che non si può lasciare alla destra la battaglia per la libertà di espressione. È evidente inoltre che una battaglia di questo tipo non è legata a un’ideologia: non è né di destra né di sinistra».
Quest’ultima affermazione dovrebbe esser di senso comune, ma il fatto che lei senta la necessità di ribadirla indica che forse finora c’era chi riteneva che le battaglie ideali appartenessero solo una fazione.
«Da quando esiste il mondo ogni schieramento ritiene di possedere la verità. Non c’è dubbio che il mondo liberal ha peccato gravemente a riguardo, ritenendo per definizione di essere dalla parte del giusto: è un atteggiamento dogmatico, oserei dire clericale, da parte di un mondo che si oppone di norma a ogni tipo di chiesa».
Quali sono i rischi maggiori per l’arte?
«Sono enormi: un vero artista deve saper rischiare. Ma questa cappa lo paralizza, come paralizza il suo committente, vuoi che sia un gallerista, un curatore, o, in campo letterario, un editore. Tutti sono terrorizzati di perdere il posto.
Oggi l’arte si indirizza nel territorio rischiosissimo del messaggio nobile, e la qualità diventa sempre più irrilevante».
Come sono cambiate le cose in America con l’amministrazione Trump?
«Sono peggiorate enormemente: Trump ha scatenato una polarizzazione che ha eccitato gli estremi sia a destra che a sinistra».
Si può affermare che la presidenza Trump sia una risposta aberrante alle degenerazioni del politicamente corretto?
«C’è certamente anche questo aspetto, ma si tratta soltanto di uno degli elementi che ha portato al suo successo, insieme all’esistenza di una grande parte del paese che non si sentiva rappresentata, e che Trump ha saputo interpretare in maniera demagogica».