Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  luglio 09 Giovedì calendario

Se per semplificare servono 148 decreti

Bruno Tabacci ha fatto i conti, e li ha snocciolati in Parlamento. Nove decreti del presidente del Consiglio dei ministri. Quindici decreti attuativi del ministero dell’Economia di concerto con altri ministeri. Diciotto decreti attuativi del ministero dell’Economia. Quarantuno decreti attuativi di vari ministeri di concerto con il ministero dell’Economia. Sessantacinque decreti attuativi di altri ministeri, anche questi in concerto fra loro. Per un totale di centoquarantotto.
Dunque non bastano 266 articoli, con un numero sterminato di commi che si stendono lungo 495 pagine. Per mettere in moto quella cosa mostruosa che hanno chiamato decreto Rilancio saranno necessari altri 148 provvedimenti. Sempre, naturalmente, che nel passaggio parlamentare il numero non lieviti ancora come la panna montata. Risultato: più che rilanciare l’economia quel decreto finirà ancora una volta per rilanciare la burocrazia.
Tutto questo, ironia della sorte, mentre il governo Conte due ha appena sfornato un altro sterminato decreto battezzato “Semplificazione”, con la solita premessa: “Salvo intese”. Formula magica che si usa quando un decreto si deve comunque fare per ragioni di consenso, ma chi lo firma non è d’accordo nemmeno sulle cose essenziali. Il bello è che quella formuletta non si esaurisce nemmeno nei teatrini politici ai quali sempre più spesso si appioppano nomi roboanti al solo scopo di impressionare l’opinione pubblica, indipendentemente dai risultati.
Dal decreto “Salva Italia” del governo di Mario Monti allo “Sblocca Italia” dell’esecutivo di Matteo Renzi si dipana un filo rosso che sbuca nel “Dignità” di impronta grillina per approdare al “Cura Italia” contiano. E dopo aver attraversato una imprecisata serie di leggi e decreti “Semplificazione” con il corollario del “Rilancio” promette anche un’"Italia Veloce”. Ma sempre con una costante: quella di centinaia e centinaia di decreti attuativi senza i quali le leggi dal nome roboante non partono, e quando partono (di solito in ritardo), lo fanno in modo completamente diverso da com’era previsto.
Prendiamo i 13 decreti legge emanati per l’emergenza coronavirus fra migliaia di commi e rimandi a vecchie leggi e regi decreti: per diventare operativi avrebbero avuto bisogno di 165 decreti attuativi, dei quali ne sono però stati emanati, secondo un’analisi di Openpolis, una trentina appena.
Il fatto è che i decreti attuativi non sono altro che il riflesso di quella formuletta “Salvo intese” sulla burocrazia. Quando la politica non riesce a mettersi d’accordo, ecco che spesso il problema viene ribaltato sugli uffici ministeriali. Nemmeno questi, però, riescono sempre a mettersi d’accordo, tecnicamente a trovare “il concerto”. Meno che mai nei tempi previsti dei 30, 60 o 90 giorni fissati per la nascita dei decreti attuativi dalle norme di legge, e senza nessuna conseguenza visto che per chi non rispetta i termini non esiste alcuna sanzione. E se poi cambia la maggioranza e cambia anche il governo prima che quei provvedimenti vedano la luce, capita pure che restino per sempre al buio. Con il secondo tempo del “Salvo Intese” che finisce così, nel solito rassicurante oblìo.