Il Sole 24 Ore, 8 luglio 2020
Come cambia la politica estera del Putin
Esplosa in Russia nella seconda metà di marzo, l’emergenza coronavirus ha colto Vladimir Putin con la mente altrove, concentrato sul progetto “nuova Costituzione”. E in Russia, come in tutto il mondo, per mesi la crisi sanitaria e la politica interna hanno rubato la scena a ogni altra cosa: accingendosi a chiamare a raccolta gli elettori al referendum che gli dà la possibilità di restare al potere fino al 2036, questa volta il presidente non ha potuto contare sull’aiuto dello scenario internazionale. Secondo Andrej Kortunov, direttore del Consiglio russo Affari esteri(Riac),l’effetto “Crimea” che nel 2014 aveva lanciato oltre l’80% la popolarità di Putin oggi è svanito. La partecipazione alla guerra siriana passa in secondo piano di fronte alle preoccupazioni economiche: ma sui fronti più caldi, il percorso della storia non è rimasto congelato come nella fiaba della bella addormentata. Libia, Siria, Ucraina, Stati Uniti, Cina: insieme ad Andrej Kortunov abbiamo ripercorso i fronti aperti della politica estera russa,il modo in cui i nuovi equilibri nelle relazioni internazionali post-coronavirus potrebbero influenzarli. Fronti su cui Putin, passato il referendum, ora può tornare a fare programmi a lungo termine.
L’intervento turco in Libia, a fianco del governo di Fayez al-Serraj a Tripoli, ha fermato l’offensiva del generale Khalifa Haftar. Che posizione ha ora Mosca in Libia?
Prima di tutto bisogna chiarire che Haftar non è un burattino della Russia: ha sponsor più importanti, i suoi amici in Egitto e negli Emirati Arabi. Si è visto chiaramente al summit di Mosca (del gennaio scorso, ndr): il generale partito d’improvviso senza firmare l’accordo di cessate il fuoco...piuttosto imbarazzante per gli ospiti. Poi l’accordo è stato firmato a Berlino (qualche giorno dopo, ndr). Haftar non è un partner facile, non è un “preferito” di Putin. In Libia, a differenza della Siria, la Russia cerca di diversificare il portafoglio di investimenti. Serraj è stato a Mosca di recente, abbiamo legami con entrambe le parti.
E i mercenari russi in Cirenaica?
Penso che Haftar tragga la maggior parte del sostegno non dallo Stato russo, ma da compagnie private interessate a farsi remunerare i propri servizi. Così Putin formalmente può dire che lo Stato russo non dà alcun aiuto, e sta dalla parte del governo internazionalmente riconosciuto a Tripoli. Che naturalmente è un po’ un’ipocrisia: di sicuro nessuna compagnia militare privata russa può trovarsi in Libia senza il consenso del governo, questo lo sanno tutti.
Qual è la situazione in Siria, dopo gli accordi per un cessate il fuoco a Nord-Ovest e sul fronte curdo a Nord-Est?
Quello che si può dire è che finora si è riusciti a evitare un’escalation, a Idlib come nelle zone curde. È chiaro che Russia e Turchia stanno cercando in ogni modo di evitare un confronto militare diretto. Così come nel corridoio settentrionale curdi e turchi potrebbero trovarsi di nuovo di fronte, ma la posta in gioco è alta, nessuno vuole un confronto diretto con gli Stati Uniti. Gli accordi non soddisfano in pieno nessuna delle parti, di fatto non risolvono i problemi a Idlib. Solo Dio sa quanto durerà: Damasco e la Russia sono preoccupate per il rafforzamento di Tharir al-Sham (HTS, la formazione jihadista che raccoglie gruppi militanti sunniti in lotta contro Bashar Assad, ndr). Una minaccia militare non solo per l’esercito siriano ma anche per le infrastrutture militari russe.
È vero che il Cremlino avrebbe chiesto ad Assad altre basi in Siria, oltre al porto di Tartus sul Mediterraneo e alla base aerea di Hmeymim?
I militari vogliono sempre di più. Non vedo la necessità strategica di altre infrastrutture nel Mediterraneo, in Siria o in Libia. Ma non sarei sorpreso di sapere di un interesse istituzionale a un aumento delle basi militari.
Il processo di pace in Ucraina è congelato?
“Congelato” forse è una parola troppo forte. Ma chiaramente c’è stato un rallentamento dei contatti. Si voleva organizzare ad aprile un secondo summit del “quartetto di Normandia” (tra Russia, Ucraina, Francia e Germania, ndr), ma per ora non ci sono piani precisi. Naturalmente ognuna delle due parti accusa l’altra di non rispettare gli accordi di Parigi dello scorso anno. La mia sensazione è che il presidente ucraino, Volodymyr Zelenskiy, si stia indebolendo: è costretto a spendere molto capitale politico in riforme sociali ed economiche impopolari: aprire un altro fronte con l’opposizione potrebbe essere troppo per lui.
Si è chiusa una finestra di opportunità?
Penso di sì, e questo è un peccato. Zelenskiy non è in grado di mostrarsi flessibile, la Russia non vuole apparire generosa. Temo non ci si possano aspettare progressi in Ucraina orientale: triste, perché io non penso che Putin possa avere un interlocutore migliore, un altro presidente con cui sia più facile trattare.
Forse dopo il referendum costituzionale Putin si sentirà più libero di fare concessioni…
Può darsi. Ma qui il vero interlocutore di Putin non è l’Ucraina, ma l’Europa. Apparentemente Putin vuole trovare un’intesa con la Ue sull’Ucraina, ma vuole una qualche forma di reciprocità in cambio. Non da Kiev ma da Parigi, Berlino, Bruxelles. Purtroppo il problema è che nessun leader europeo è davvero forte. È più forte oggi Angela Merkel, ma il suo tempo politico sta terminando. Emmanuel Macron non è popolare, anche in Europa c’è chi contesta la sua leadership. Putin si chiederà quale è il suo interlocutore: certo nella Commissione Ue Mosca non ha amici.È cinico dirlo, ma Putin probabilmente dirà: perché dovrei fare concessioni senza reciprocità? Se l’Europa in questo momento è debole e concentrata su se stessa?
Guardiamo alla Cina. Il coronavirus ha avvicinato o ha allontanato Mosca e Pechino?
Dobbiamo partire dal confronto Cina-Stati Uniti: probabilmente hanno raggiunto il punto di non ritorno. La Cina è in ripresa, gli Usa in difficoltà: il legame continuerà a essere teso a lungo, una crescente bipolarità negativa per tutti noi. Pechino e Washington cercheranno infatti di spingere dalla propria parte Paesi come i nostri, Russia e Italia, cosa non facile. La pandemia ha avvicinato russi e cinesi, di certo non ha ridotto le distanze tra russi e americani: nuove sanzioni, nuovi attriti. Così politicamente Russia e Cina sono sulla stessa barca, e il confronto tra Cina e Stati Uniti rende Mosca ancora più disponibile verso Pechino. Parlo però di cooperazione militare o tecnologica: le relazioni economiche sono destinate a ridimensionarsi, per la recessione che riduce la domanda cinese di oil & gas, o per il turismo e i progetti praticamente bloccati. Dal punto di vista economico, avremo più problemi di prima.