La Stampa, 8 luglio 2020
La rivincita dei Sioux di Standing Rock
Secondo un’antica profezia dei Sioux Lakota, un giorno un serpente nero striscerà nelle viscere della terra, violerà i luoghi sacri della tribù e avvelenerà l’acqua, prima di distruggere il pianeta intero. L’unica speranza di salvezza risiederà allora nella Settima Generazione degli indiani, che si solleverà, sconfiggerà il rettile, e riporterà l’equilibrio in tutto il globo.
Adesso sarebbe difficile appurare con certezza se la protesta condotta dai giovani Sioux alla riserva Standing Rock ha realizzato questa profezia, e la sentenza con cui il giudice federale del District of Columbia James Boasberg ha bloccato lunedì l’oleodotto Dakota Access ha tagliato in maniera definitiva la testa del serpente nero. Di sicuro però la sua decisione rappresenta una vittoria dei Sioux sul presidente Trump, e se viene sommata agli stop arrivati in questi giorni anche per Keystone XL e Atlantic Coast Pipeline, potrebbe anticipare il netto cambio di rotta nella politica energetica americana che avverrebbe se Joe Biden vincesse le presidenziali del 3 novembre.
Dakota Access è un oleodotto lungo 1.886 chilometri, costruito al prezzo di 3,8 miliardi di dollari da Energy Transfer Partners. Collega all’Illinois il bacino di Bakken, principale centro per l’estrazione dello shale oil in Nord Dakota, trasportando verso le raffinerie 470.000 barili di petrolio al giorno.
Il progetto era cominciato durante l’amministrazione Obama, ma in breve aveva attirato le proteste degli ambientalisti, soprattutto perché sarebbe dovuto passare sotto il fiume Missouri all’altezza del Lake Oahe. In altre parole, il serpente nero della profezia. Questa immagine aveva affascinato i Sioux, schiacciati dal 29 dicembre 1890, quando il massacro di Wounded Knee aveva ucciso oltre 250 uomini, donne e bambini, completando la conquista delle loro terre ancestrali. La metaforica ascia di guerra, però, era stata dissotterrata stavolta dai giovani, la Settima Generazione. Ragazzi e ragazze come le sorelle Jasilyn e Jasilea Charger, 19 anni, cresciute vedendo i coetanei che si perdevano appresso alla droga o l’alcool, quando non la facevano finita suicidandosi. Questi giovani avevano creato il One Mind Youth Movement, per affrontare i problemi sociali delle riserve abbandonate a se stesse, ma avevano trovato motivazioni nella lotta contro oleodotti e gasdotti, diventanti il nuovo strumento della colonizzazione bianca. Avevano chiesto il permesso agli anziani scettici, e costruito un campo per la preghiera nell’angolo più settentrionale della riserva, a pochi metri dal tracciato del Dakota Access.
Iniziato come un gioco da ragazzi, il Sacred Stone Camp era diventato il punto focale della protesta contro l’oleodotto, che con le perdite minacciava di avvelenare l’acqua indispensabile ai Sioux per pescare, bere, e condurre le cerimonie sacre. «Mni wichoni» era il motto, «l’acqua è vita».
Gli indiani si era radunati nell’alleanza Oceti Sakovin, e le proteste erano diventate sempre più intense, aiutate dal gruppo ambientalista Earthjustice. La tensione era salita al punto che Energy Transfer aveva assunto la compagnia di sicurezza TigerSwan, composta da ex soldati delle forze speciali, per mantenere il controllo. I giovani avevano organizzato marce su Washington, e il 4 dicembre del 2016 il Department of Army aveva chiesto all’Army Corps of Engineers di individuare un percorso alternativo. Gli anziani avevano suggerito di sgomberare il campo, ma i ragazzi non si erano mossi, perché sapevano che la vittoria sarebbe stata breve. A novembre infatti Trump aveva vinto le presidenziali, facendo capire che il rilancio dei progetti energetici era una colonna del suo programma economico. Poco dopo l’Inauguration aveva ordinato di accelerare il progetto. A febbraio il Sacred Stone Camp era stato sgomberato, i lavori erano ripresi, e a giugno Dakota Access aveva iniziato a pompare petrolio.
I Sioux e i loro alleati però non avevano mollato, facendo causa. Il 25 marzo il giudice aveva dato loro ragione, stabilendo che l’Army Corps of Engineers aveva violato il National Environmental Policy Act, quando sotto la pressione di Trump aveva accelerato l’esame rischi. Lunedì ha deciso i rimedi, ordinando ad Energy Transfer di bloccare la produzione e svuotare l’oleodotto entro il 5 agosto, e al genio militare di condurre una nuova indagine sull’impatto ambientale del progetto. Mike Faith, il capo tribù, ha commentato così: «È un giorno storico. L’avevamo detto che non avrebbero mai dovuto costruire l’oleodotto qui». Energy Transfer ha annunciato il ricorso, perché il blocco farà perdere 2 miliardi di dollari in due anni. Prima dell’epidemia di Covid la produzione nel Nord Dakota era di 1,45 milioni barili al giorno, ma ora è già scesa a 1 milione per il calo di domanda e prezzi. Il segretario all’Energia Bouillette ha detto che «non so cosa ci sia da festeggiare. Così si perdono 10.000 posti di lavoro, e milioni di dollari che sarebbero andati alla comunità».
Boasberg ha suggerito di trovare un equilibrio tra gli interessi economici e ambientali, ma essendo stato nominato da Obama, il sospetto è che voglia boicottare Trump. Siccome per completare la revisione dei rischi ci vorrà almeno un anno, il futuro di Dakota Access verrà deciso da chi vincerà le presidenziali del 3 novembre.
Nel frattempo però la Corte Suprema ha bloccato anche l’espansione di Keystone, l’oleodotto di collegamento col Canada, mentre a causa di questo clima ostile Duke Energy e Dominion Energy hanno rinunciato a costruire l’Atlantic Coast Pipeline, che per 8 miliardi di dollari doveva portare il gas dalla West Virginia al mare. I serpente è fermo, ma l’ultima parola sul suo destino spetterà ora agli elettori.