Perché volle proprio Morricone per quella colonna sonora?
«L’ho sempre ammirato. Ogni film per cui ha composto la musica ha guadagnato molto in stile e qualità proprio grazie alle sue note. Ricordavo le sue colonne sonore dai tempi di Sergio Leone, le sue composizioni per Bertolucci, soprattutto la colonna sonora di Novecento . E poi Gli intoccabili e ovviamente C’era una volta in America , un capolavoro di film e di musica, e Mission , una delle più belle colonne sonore mai ascoltate».
Lei aveva già lavorato con grandi compositori.
«È vero, avevo collaborato con John Williams e Georges Delerue, quest’ultimo firmò la colonna sonora di Platoon , ho sempre amato lo stile compsitivo europeo applicato al cinema. Per U Turn volevo qualcosa di thrilling e romantico insieme, perché è anche una storia d’amore, perversa e dark ma pur sempre una storia d’amore, quella tra Jennifer Lopez e Sean Penn. E avevo bisogno di una musica in cui i temi noir si sovrapponessero a quelli sentimentali. Giravamo nel deserto dell’Arizona, un caldo terribile, un “soleil noir” come mi diverto a chiamarlo, e come da contratto Morricone venne in America per incontrarmi di persona».
Cosa ricorda di quel primo incontro?
«Lui era il maestro ma mancava qualcosa nella sua colonna sonora, solo metà mi era piaciuta molto, allora gli chiesi di scrivere altre cose e si arrabbiò moltissimo. Io ero abituato a John Wlliams, che consegnava colonne sonore bell’e pronte. Morricone era convinto che quello che aveva scritto andasse bene, e arrivederci. Ma io non mollai la presa e lo feci tornare in America una seconda volta, cosa che lo fece andare in bestia anche perché non amava viaggiare, gli piaceva starsene a Roma. Insomma, tornò e seguirono alcuni incontri pieni di tensione perché cercavo di spiegargli che cosa volevo da lui, che tipo di musica immaginassi per il lato avventuroso del film, una cosa tipo il cartone animato Willy il Coyote . Ricordo di avergli mostrato dei fumetti di Tom&Jerry con musica be-bop, jazzy, bee bee boom, bam, boom... Mi guardò e disse: “Cioè, vuoi che io scriva musica per cartoni animati?”. Gli risposi: “Esatto. Dopotutto, è proprio quello che hai fatto per i film di Sergio Leone”. Non la prese bene. Diciamolo: Ennio non aveva un grande senso dell’umorismo, e io lo stavo provocando. Ma alla fine per U Turn scrisse la musica perfetta, quella che volevo. Ed è una delle preferite tra quelle dei miei film. Sapeva mettersi al servizio dei registi, anche quando gli facevano girare le balle. Era il massimo del professionismo».
Dove venne registrata? A Hollywood?
«Macché, a Roma. Dove andai per seguire la sessione di registrazione, in uno studio con cinquanta, cento musicisti stipati. Suonarono meravigliosamente. So che Morricone ha fatto circa cinquecento colonne sonore, una mole di lavoro impensabile, inarrivabile. Leggendaria».
Siete rimasti in contatto?
«No, Ennio era un tipo introverso e solitario, evitava la gente, gli incontri mondani o ufficiali. Era anche un po’ brusco, sempre molto occupato, iperattivo, dipendeva dal lavoro, cosa che continuo a scoprire sempre di più dell’Italia e degli italiani, siete dei lavoratori straordinari, altro che le battute sugli italiani pigri e festaioli. Che sia arte, moda, auto, cucina, gioielleria, Sapete farvi un mazzo doppio rispetto a noi americani».
Dove metterebbe Morricone nel pantheon degli artisti?
«Nella categoria di Leonardo e Michelangelo, genio assoluto ma soprattutto lavoro, lavoro, lavoro. Non so se Morricone sia stato capace di godersi la vita ma spero che ci sia riuscito, in qualche momento».
Ha lasciato un auto-necrologio centrato sull’amore per la musica e per la sua famiglia.
«Non lo sapevo ma non mi stupisce. Era un uomo forte, ha scritto musica fino a poche settimane fa, e sono convinto che abbia saputo affrontare con coraggio questo passaggio. Ci mancherà. Ma per fortuna la sua musica rimane».