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 2020  luglio 08 Mercoledì calendario

L’anno patinato di Mahmood

«Questo ultimo anno l’ho vissuto come Bugs Bunny, uno che si ritrova nelle situazioni più assurde e impossibili, ma rimane sempre se stesso, sempre nudo, sempre con la sua immancabile carota». Mahmood si sente così, «con la solita faccia da babbo in mezzo a situazioni patinate», la vita vissuta come un cartone animato, scisso tra l’immagine del cantante di successo e il ragazzo cresciuto a Gratoshollywood, periferia poco glamour di Milano.
Venerdì esce in radio e in streaming il suo nuovo singolo Dorado, dove l’immedesimazione con il coniglio più famoso e immortale è totale, protagonista sulla copertina e nel video girato al museo egizio: «Dorado è un viaggio onirico, è un racconto che parte dall’ultimo anno che ho vissuto, un anno patinato completamente diverso da tutto quello che è stata la mia vita precedente. Mi sono trovato in cene assurde con Lenny Kravitz, con lo stilista Riccardo Tisci e la cantante Rosalía, mi sono confrontato con artisti come Francesco Vezzoli, ho partecipato a eventi, fatto cover e passerelle. Gli artisti più grandi hanno in comune una cosa: sono quelli piu semplici, ti trattano come se fossi loro amico da una vita. E questo mi ha fatto riflettere. È sempre importante ricordarsi le proprie origini, le proprie radici, come canto in Dorado: nelle tasche avevo nada, ero cool non ero Prada. Anche se ora capita che per certi eventi mi diano vestiti importanti, è il modo in cui te lo metti quel vestito che conta. Io mi sento sempre Bugs Bunny».
Madre sarda e padre (piuttosto assente) egiziano, questa canzone per Mahmood è il modo di dire che i Soldi (il successo di Sanremo da cui tutto si avvia) non lo hanno cambiato: «Nel video di Dorado c’è anche il mio vero parrucchiere, Aziz di Casablanca Parrucchieri, sta in viale Tibaldi a Milano, 10 euro per il taglio. Nel video mi rasa con una mantellina e una macchinetta dorata: il taglio non cambia se sei ricoperto d’oro, il taglio è sempre quello, è il significato che dai alle cose che conta».
Dorado è un sogno. Ha paura di svegliarsi e scoprire che è tutto finito? «No, il contrario: ho paura di rimanere nel sogno. Ho paura di rimanere in un mondo fatto di occasioni, di oro e luci, di situazioni glamour, un mondo totalmente diverso da quello in cui sono cresciuto. E mi chiedo: che ci faccio qua? Bugs Bunny finisce in certe situazioni più per caso che per volontà; è quello che è successo a me».
La solidità delle radici e degli affetti, la chiave della semplicità è lì: «La quarantena mi ha aiutato a mantenere i piedi per terra, sono stato con i miei amici, i miei parenti, mia mamma: con loro non posso mentire, sanno chi sono, mi trattano come prima. E questa cosa mi dà serenità. Ho avuto la fortuna di fare questo lavoro in maniera più importante quando avevo già 27 anni, quindi lo vivo come un lusso. Ho faticato tanto per anni e so che non cambierò da un giorno all’altro perché sono cresciuto in un contesto di quartiere, con certi valori, con una mamma che mi ha insegnato a dare il giusto peso al lavoro e agli sforzi».
Prodotto da Dardust, Dorado è un featuring con Sfera Ebbasta e il colombiano Feid. La contaminazione latina non rischia di omologare (anche) la sua musica? «Questa non vuole essere una hit estiva. La musica sudamericana e latina si sta espandendo tantissimo in questi anni, ma non mi sento di catalogare il mio brano in quel tipo di linguaggio, perché è un brano ricco di sfumature, di influenze arabe. Mio padre mi faceva ascoltare musica araba, mia madre il cantautorato italiano, da qui nasce il mio moroccan pop. Mi piace non fossilizzarmi in un genere ma mettere il mio stile in generi diversi: credo sia questa la chiave di un artista, allargare il proprio stile fuori dalla cerchia delle proprie conoscenze musicali. Lo sforzo è dare qualcosa di nuovo all’interno di certi canoni».