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 2020  luglio 07 Martedì calendario

La guardia forestale e l’orso Baloo

Questa è l’infelice storia dell’orso Bruno, che è stato ribattezzato così perché è appunto un orso bruno dei Carpazi. Una sola persona al mondo, Fausto Iob, lo chiama Baloo, come il personaggio del Libro della giungla. «Il nome gliel’ho dato io», svela il suo amico, «ma nessuno lo sa». «Bruno è dispettoso, domenica non s’è fatto vedere», si lamenta fra Marino Albani, francescano conventuale tornato tre anni fa dalla missione in Ghana. Ma basta solo che Baloo senta la voce di Iob e subito esce dalla tana. È agli arresti domiciliari in Trentino. Sempre meglio che farsi raggiungere da un’ordinanza di abbattimento, com’è accaduto all’orsa Jj4.
San Romedio, vertiginoso santuario abbarbicato da mille anni in cima a 131 gradini su uno sperone roccioso della Val di Non, nei giorni festivi è preso d’assalto da centinaia di famiglie, più attratte dal ritroso Bruno, alias Baloo, che dal sacello dell’eremita tirolese. Immaginarsi la delusione dei pellegrini. Che poi non è che vi siano certezze neppure sull’identità di Romedio, o Remedio, o Remigio: le uniche tracce risalgono al secolo XI. Papa Pio X ne confermò il culto nel 1907.
Iob è custode forestale nel Comune di Predaia (Trento). In quanto agente di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, avrebbe diritto a girare con la pistola. In realtà usa solo un’ascia che dalla parte opposta alla lama reca un punzone triangolare. Gli serve per censire gli alberi, destinati al taglio per uso civico, in questa vasta porzione, circa 10.000 ettari, della provincia più boscata d’Italia. Un lavoro che non c’entra nulla con la cura dell’orso, svolta nel tempo libero.
S’imbatte in molti animali?
«Sì, soprattutto ungulati: cervi, camosci, caprioli. E poi volpi, tassi, faine, martore, ermellini, donnole. Anche vipere: aspidi e marassi. Stanno tornando i cinghiali, scomparsi nell’Ottocento, quando la fame obbligava a mangiarli. Dei lupi finora ho trovato solo orme e fatte».
Orsi niente?
«Ne ho avvistati 12, reintrodotti nel Parco naturale Adamello Brenta dal progetto Life Ursus. Baloo arrivò qui l’11 marzo 2013. Ma non era una novità».
In che senso?
«Il primo orso giunse nel santuario di San Romedio nel 1958 per iniziativa di Gian Giacomo Gallarati Scotti, già senatore del Regno d’Italia e appassionato studioso dell’orso bruno delle Alpi. Lo strappò a un circo, dove il povero plantigrado era costretto a pedalare su una bicicletta speciale. Incapace di svolgere il crudele esercizio a causa dell’età avanzata, volevano sopprimerlo. Si chiamava Charly, come Gaul, il lussemburghese che quell’anno vinse il Tour de France».
Un modo per valorizzare l’iconografia di San Romedio con l’orso al guinzaglio.
«Qui siamo nella leggenda. Romedio chiese al discepolo Davide, che con Abramo lo aveva seguito nell’eremitaggio, di sellargli il cavallo. Ma il quadrupede era stato sbranato nottetempo da un orso. Allora a Davide fu ordinato di sellare l’orso, con l’assicurazione che non gli sarebbe accaduto nulla di male. Così fece. E Romedio in groppa a quello partì per Trento, dove fece visita al vescovo Vigilio, futuro martire e santo».
Per quanti anni visse Charly?
«Fino al 1966. Poi, che io sappia, arrivò un secondo Charly. Quindi Chicco e Chicca, in seguito trasferiti a Spormaggiore, e Jurka, un’orsa problematica che si avvicinava troppo alle abitazioni della Val di Non. Ora vive in Germania».
Veniamo a Baloo.
«In quel 2013 mi chiamò Maurizio Scoz, sindaco di Coredo, oggi Predaia: “Saresti disposto a occuparti di un orso fuori dall’orario di lavoro?”. Aveva letto infatti di Bruno, inserito senza successo fra gli orsi marsicani nel Parco nazionale d’Abruzzo. La sua storia m’impietosì».
Preparo il fazzoletto. Sentiamo.
«Bruno fu partorito nel 1995 in Romania, nella regione dei Carpazi. Un’orsa tiene i piccoli con sé per due anni. Uscita dal letargo e affamatissima, la madre lo lasciò in un luogo ritenuto sicuro, allontanandosi per andare a procurarsi del cibo. Un viandante di pochi scrupoli vide due cuccioli e se ne portò a casa uno. Dopodiché venne a sapere che un signore di Roma cercava un orso per la sua tenuta di Palestrina, da esibire come attrazione alle cene con gli amici. Glielo vendette. Una pratica illegale, ovviamente. Il tizio fece costruire da un fabbro una gabbia di 4 metri per 4. Pura follia, perché l’orso è un grande camminatore, arriva a percorrere 30-40 chilometri per notte. Il povero Bruno, divenuto un bestione alto 2 metri e mezzo, impazzì. Cominciò a girare in tondo dentro quello spazio angusto. Finché non giunse la Guardia forestale, che lo sequestrò e lo spedì a Pescasseroli».
Non stava bene in Abruzzo?
«No, perché fu rinchiuso in un recinto di cemento poco più largo. Un giorno il custode entrò nella gabbia, dimenticandosi di chiudere la grata di sicurezza. Trovatosi a faccia a faccia con Bruno, si mise a gridare. Errore fatale: l’unica cosa da fare in quei frangenti è allontanarsi con calma, senza urlare e senza gesticolare. Tanto, se vuole, l’orso ti acchiappa con pochi balzi. E infatti ghermì il poveretto, lo sbatté per terra e cominciò a straziarlo con le sue unghie possenti. Mi pare che all’ospedale il ferito abbia ricevuto dai 300 ai 500 punti di sutura».
Un incidente che le serve da monito?
«Eccome. Tanto più che Bruno mi fu affidato senza alcun protocollo. Non sapevo neppure come alimentarlo. Devo ringraziare Andrea Marcolla, presidente del Parco faunistico di Spormaggiore, che mi catechizzò in materia».
Come andò l’approccio?
«Siccome pesava 330 chili, fu portato qui con un automezzo usato di solito per il trasporto degli ippopotami. La gru dei vigili del fuoco lo calò ancora narcotizzato nell’area verde di 1.500 metri quadrati predisposta per lui. Quando tutti se ne furono andati, decisi che dovevo vincerne la diffidenza, approfittando del fatto che barcollava, ancora intontito dall’anestesia. Gli imposi un nome che solo lui e io dovevamo conoscere. Gli sussurrai: Baloo, io non sarò mai tuo nemico. Attraverso le sbarre, gli porsi una carota intinta nel miele. Passarono parecchi minuti. Alla fine la afferrò con la bocca. Gliene diedi subito un’altra e avanti così, con i rinforzi positivi. Doveva fidarsi».
Ma lei si fidava?
«Già nella prima settimana pensai: o vinco la paura adesso o non entrerò mai più nel recinto. Mi presentai con un secchio colmo di mele e carote. Avevo la tremarella. Ma dopo mezz’ora cominciò a prendere il cibo dalle mie mani».
Cosa che fa tuttora, vedo.
«Sì, Baloo ha capito che sono suo amico. Nelle prime settimane aveva paura a scendere lungo il terreno scosceso, andava solo avanti e indietro in un piccolo spazio. Allora tracciai vari sentieri e feci in modo che mi seguisse. Tenevo in mano un pezzo di carne. Gli orsi ne avvertono l’odore a chilometri di distanza. Oggi ha imparato e va a farsi il bagno nel laghetto in fondo alla valle».
Che cosa mangia Baloo?
«Per lo più frutta e carote. Il consorzio Melinda mi regala le mele difettose. Due volte a settimana gli do la carne e di venerdì il pesce che mi tengono da parte la pescheria Goio di Cles e i ristoranti».
È ghiotto di qualcosa in particolare?
«Gli piace la frutta molto dolce: angurie, meloni, pesche, ciliegie. Va matto per le teste dei salmoni. D’inverno devo dargli molte arance per idratarlo. Sa, qui la temperatura scende fino a 20 gradi sottozero e l’acqua ghiaccia. A dirla tutta, nessun orso si scaverebbe la tana in questa forra umidissima».
Baloo la riconosce?
«Certo. Dalla voce, l’ha visto anche lei. Ma principalmente dall’odore. Gli orsi ci vedono poco, il naso è il loro radar».
Quante ore al giorno gli dedica?
«Tutte quelle libere prima e dopo il lavoro. Sono l’unica persona coperta da assicurazione che può avvicinarlo. Devo persino stare attento a non ammalarmi. E da sette anni non vado in ferie».
Neanche quando Baloo è in letargo?
«Un orso in letargo non è in coma. Sta solo fermo per risparmiare le energie accumulate. A ottobre mangia parecchio per mettere su grasso. Gli riempio la tana artificiale di foglie e fieno, altrimenti morirebbe di freddo. E ogni due o tre giorni gli porto da mangiare».
C’è qualcosa che lo disturba?
«Gli schiamazzi delle scolaresche».
Non la rende triste vederlo rinchiuso?
«Sì, ed è il motivo per cui diserto gli zoo. Ma ormai Baloo è cresciuto in cattività: se venisse liberato nei boschi, morirebbe di fame. Non sa nemmeno grattarsi la schiena sui tronchi degli alberi, non avendolo mai visto fare dalla madre».
L’orsa che ha assalito due persone in Val di Non dev’essere abbattuta o no?
«No. Ha ragione il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa: la sua unica colpa è stata quella di fare l’orsa».
A Baloo non resta molto da vivere.
«In natura sarebbe campato 24 anni. Qui, accudito com’è, forse arriva a 30».
Senta Iob, si ritiene un po’ orso?
«Chi sta con l’orso alla fine lo diventa».
È credente?
«Sì, anche se non praticante».
Perché il Padreterno ci ha messo accanto gli animali, secondo lei?
«Nei bar sento discorsi assurdi: “Voglio andare per funghi tranquillo, quindi gli orsi si devono eliminare”. Ma noi non siamo i padroni della terra, solo i custodi. Nella Bibbia il soffio vitale di Dio, ruah, è lo stesso per uomini e animali».
Crede che Baloo sia felice?
«Sì. Qui ha visto per la prima volta gli alberi e i fiori invece del cemento».
E lei è felice?
«Mi accontento. Quando ho un problema, non lo evito: gli corro incontro».